Estinzione della società e legittimazione processuale dei soci

24 Aprile 2025

La Cassazione torna ad occuparsi dell'estinzione di una società di capitali e delle conseguenze sul piano processuale, affermando che i soci sono legittimati ad impugnare la sentenza resa nei confronti della società estinta in pendenza di giudizio.

Massima

Qualora, in pendenza di giudizio, si verifichi l'estinzione della società di capitali che di tale giudizio sia parte, la legittimazione processuale, anche per quanto concerne l'impugnazione della sentenza resa nei riguardi della società, spetta ai soci, non assumendo rilievo il limite di responsabilità degli stessi di cui all'art. 2495 c.c., che può eventualmente influire sull'interesse ad agire dei creditori sociali, non escluso di per sé dalla mancata partecipazione dei soci alla ripartizione finale, all'esito del procedimento di liquidazione della società estinta.

Il caso

Una società a responsabilità limitata agiva in giudizio nei confronti di una banca per fare accertare gli addebiti illegittimi per interessi, commissioni e spese non dovuti e ottenere la restituzione dei corrispondenti importi.

Il Tribunale di Pistoia accoglieva la domanda, con sentenza impugnata avanti alla Corte d'appello di Firenze.

Poiché, nel corso del giudizio di secondo grado, il procuratore della società appellata aveva dichiarato la sua intervenuta cancellazione dal registro delle imprese, la banca riassumeva il processo nei confronti dei quattro soci, che si costituivano in giudizio, eccependo la loro carenza di legittimazione, in virtù di quanto stabilito dall'art. 2495 c.c., dal momento che, all'esito della liquidazione, nulla avevano percepito.

L'eccezione veniva accolta, mentre veniva respinta la domanda sottesa all'appello incidentale proposto dalla società (e fatta propria dai soci) volta a ottenere l'accertamento di crediti nei confronti della banca ulteriori rispetto a quelli riconosciuti dalla sentenza di primo grado.

La sentenza della Corte d'appello di Firenze veniva impugnata con ricorso per cassazione.

Le questioni giuridiche e le soluzioni

Con l'ordinanza che si annota, la Corte di cassazione ha accolto il ricorso, affermando che:

1) qualora l'estinzione della società di capitali conseguente alla sua cancellazione dal registro delle imprese intervenga nel corso del giudizio di cui la stessa è parte, l'impugnazione della sentenza resa nei riguardi della società dev'essere promossa nei confronti dei soci della società estinta;

2) la legittimazione processuale dei soci non dipende dalla loro utile partecipazione alla ripartizione di quanto ricavato all'esito della liquidazione della società;

3) tale circostanza, infatti, influisce solo ed esclusivamente sulla responsabilità patrimoniale dei soci nei confronti dei creditori della società rimasti insoddisfatti e può rilevare sotto il profilo dell'interesse ad agire di questi ultimi.

Osservazioni

L'estinzione della società di capitali e le conseguenze che ne derivano in termini di responsabilità patrimoniale e di legittimazione processuale tornano al vaglio della Corte di cassazione.

Nel caso di specie, la società che aveva agito in giudizio nei confronti di una banca per ottenere la condanna di quest'ultima alla restituzione di importi illegittimamente addebitati aveva visto accogliere la propria domanda; poiché, nel corso del giudizio di secondo grado, il procuratore della società aveva dichiarato la sua estinzione, in conseguenza dell'intervenuta cancellazione dal registro delle imprese, il giudizio era stato riassunto nei confronti dei soci, i quali avevano eccepito la loro carenza di legittimazione, poiché in sede di liquidazione non avevano percepito alcunché (visto che le somme incassate dalla società in forza della provvisoria esecutività della sentenza di primo grado erano state destinate al soddisfacimento dei creditori sociali, sicché nulla era residuato in favore dei soci).

L'eccezione, in effetti, era stata accolta dalla Corte d'appello di Firenze, secondo cui, da un lato, la mancata percezione di somme da parte dei soci in sede di liquidazione esclude che si verifichi la loro successione nei debiti della società e, dall'altro lato, poteva eventualmente configurarsi una responsabilità – di natura extracontrattuale e non di carattere successorio – del liquidatore che avesse male gestito le somme ricavate nell'ambito del procedimento liquidatorio.

Tali assunti, tuttavia, si pongono in contrasto con l'orientamento giurisprudenziale – che può definirsi consolidato – venutosi a formare dopo che le Sezioni Unite della Corte di cassazione, con la sentenza n. 6070 del 12 marzo 2013, hanno ricostruito il sistema della sorte delle posizioni (attive e passive) facenti capo alla società estinta.

Essendo un dato di fatto che, a seguito delle modifiche che hanno interessato l'art. 2495 c.c., la cancellazione della società dal registro delle imprese ne determina l'estinzione e la definitiva scomparsa dalla realtà giuridica (essendovi ricollegato, sotto questo profilo, un effetto costitutivo), i giudici di legittimità hanno precisato che a ciò consegue anche un fenomeno di carattere successorio quanto ai rapporti facenti capo alla società che non si siano completamente esauriti o che non abbiano trovato compiuta definizione in sede di liquidazione.

Più precisamente:

  • le obbligazioni della società estinta si trasferiscono ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti e fino alla concorrenza di quanto riscosso a seguito della liquidazione, ovvero illimitatamente, a seconda che, pendente societate, essi fossero o meno illimitatamente responsabili per i debiti sociali;
  • i diritti e i beni non compresi nel bilancio finale di liquidazione della società estinta si trasferiscono parimenti ai soci, in regime di contitolarità o di comunione indivisa e in proporzione alla quota di partecipazione detenuta, salvo che si tratti mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, o di diritti di credito ancora incerti o illiquidi, la cui inclusione in bilancio avrebbe richiesto un'attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale) non espletata dal liquidatore.

Per quanto riguarda i debiti della società estinta, va tenuto distinto il profilo della successione in essi dei soci da quello della responsabilità di questi ultimi nei confronti dei creditori sociali.

L'art. 2495 c.c., infatti, stabilisce che i soci rispondono di tali debiti se e nella misura in cui abbiano percepito beni o somme nell'ambito della fase di liquidazione.

La percezione di utilità da parte del socio integra elemento costitutivo della responsabilità delineata dall'art. 2495 c.c., dal momento che rappresenta non solo il limite, ma anche il fondamento della pretesa che può essere fatta valere dal creditore insoddisfatto, sicché la relativa prova grava su quest'ultimo (Cass. civ., sez. I, 22 giugno 2017, n. 15474).

Di converso, quando il socio si sia visto attribuire beni appartenenti alla società a seguito della liquidazione e intenda sottrarsi alla responsabilità delineata dall'art. 2495 c.c., compete a lui dimostrare che il titolo dell'attribuzione esclude il diritto dei creditori sociali rimasti insoddisfatti di rivolgere le loro pretese nei suoi confronti (Cass. civ., sez. II, 24 maggio 2024, n. 14575).

Non vi è dubbio, pertanto, che la responsabilità dei soci – ovvero la misura della stessa – per le obbligazioni sociali che non siano state soddisfatte all'esito della liquidazione della società e a seguito dell'estinzione di quest'ultima sia direttamente e funzionalmente collegata all'entità della loro partecipazione all'eventuale attribuzione di beni sociali disposta nella fase terminale della vita della società.

D'altro canto, una tale limitazione di responsabilità non determina alcun pregiudizio per i creditori (visto che, se la società viene cancellata dal registro delle imprese senza distribuzione di attivo, il loro credito rimane insoddisfatto per incapienza del patrimonio sociale, mentre se le eventuali componenti attive fossero state assegnate ai soci, anziché essere destinate a soddisfare le obbligazioni della società, la misura della responsabilità contemplata dall'art. 2495 c.c. corrisponde a quella su cui potevano fare affidamento i creditori sociali nei confronti della società debitrice) e, allo stesso tempo, realizza un equo contemperamento delle loro ragioni rispetto all'aspettativa dei soci di non vedere compromessa la regola dettata dall'art. 2462 c.c., in virtù della quale, nella società a responsabilità limitata, per le obbligazioni sociali risponde soltanto la società con il suo patrimonio.

Ma l'assenza di responsabilità patrimoniale per effetto di quanto stabilito dall'art. 2495 c.c. non significa che i soci non subentrino nella situazione passiva che faceva capo alla società estinta.

La successione, infatti, si verifica comunque, essendo solo incerto se, a seguito di essa, il socio sarà tenuto a rispondere del debito ed eventualmente in quale misura, dal momento che ciò dipenderà, da un lato, dal fatto che vi sia stata o meno in suo favore un'attribuzione in sede di liquidazione e, dall'altro lato, dall'entità di tale attribuzione, che segna la misura della sua responsabilità nei confronti del creditore sociale rimasto insoddisfatto.

Questa soluzione, riaffermata anche nell'ordinanza che si annota, consente di individuare il soggetto titolato a proseguire nel rapporto processuale instaurato nei confronti della società estinta, evitando che esso rimanga acefalo in conseguenza di una vicenda – la cancellazione dal registro delle imprese – che potrebbe prestarsi a strumentalizzazioni e a manovre fraudolente, ove vi fosse ricollegata l'estinzione non solo dell'entità giuridica cui faceva capo l'obbligazione controversa, ma pure quest'ultima, indipendentemente dal fatto che le risorse ricavate nel corso del procedimento di liquidazione siano state destinate ad estinguere le passività gravanti sulla società oppure siano state distratte a vantaggio dei soci o di terzi (posto che il liquidatore non va esente da responsabilità, qualora venga dimostrato che il mancato pagamento del creditore insoddisfatto sia dipeso da sua colpa).

Si tratta, casomai, di verificare se la prosecuzione del processo interrotto a seguito dell'estinzione della società nei confronti del socio cui nulla sia stato attribuito in sede di liquidazione sia sorretta da un interesse giuridicamente rilevante, ai sensi dell'art. 100 c.p.c., giacché, configurando esso una condizione dell'azione, deve sussistere indefettibilmente: in effetti, non vi sarebbe motivo di consentire l'impiego delle limitate risorse del sistema giustizia se la pronuncia che accerta l'esistenza di un credito nei confronti della società estinta non potesse essere utilmente azionata nei confronti di chi – il socio – è succeduto nel corrispondente debito, ma non debba risponderne per essere la sua responsabilità esclusa dalla legge (e, precisamente, dall'art. 2495 c.c.), al ricorrere delle condizioni dalla stessa stabilite (cioè in caso di mancata riscossione di somme o altre utilità in base al bilancio finale di liquidazione).

Anche sotto questo profilo, tuttavia, non può predicarsi un vero e proprio automatismo, visto che, per esempio, non può escludersi che, anche quando dal bilancio finale di liquidazione non risulti alcuna attribuzione ai soci, sussistano beni e diritti della società non ricompresi in esso che si siano nondimeno trasferiti ai soci, oppure che si verifichino sopravvenienze.

Queste circostanze andranno evidentemente verificate nel caso concreto e provate dalla parte che vi ha interesse (e, dunque, dal creditore che abbia riassunto il processo nei confronti dei soci per coltivarlo nonostante l'assenza di attribuzioni disposte in loro favore in sede di liquidazione).

Conclusioni

Se la sistemazione dei rapporti della società estinta dal lato passivo ha sostanzialmente raggiunto un punto fermo (che l'ordinanza annotata fa proprio e conferma), pur non essendo mancate isolate pronunce che se ne sono discostate (il riferimento è, in particolare, a Cass. civ., sez. V, 26 giugno 2015, n. 13259), è, al contrario, ancora vivo il dibattito in merito alla sorte delle posizioni attive.

Tant'è vero che, con ordinanza interlocutoria n. 16477 del 13 giugno 2024, è stata rimessa alle Sezioni Unite della Corte di cassazione la quesitone della possibilità di configurare la tacita rinuncia dei crediti della società non compresi nel bilancio finale di liquidazione, come effetto automatico della cancellazione della stessa dal registro delle imprese e della conseguente estinzione verificatesi nella pendenza del giudizio teso a farli accertare.

In effetti, non vi è unanimità di vedute in ordine alla ravvisabilità di una presunzione di tacita rinuncia alla pretesa – azionata o azionabile – di accertare e riscuotere un credito incerto o illiquido nella cancellazione di una società di capitali dal registro delle imprese: quando manchi la prova che prima dell'estinzione la società creditrice abbia comunicato la remissione al debitore ai sensi dell'art. 1236 c.c., si dubita, pertanto, che in detta pretesa succedano i soci, come avviene di norma per le sopravvivenze e per le sopravvenienze patrimoniali attive lasciate dalla società.

Così, a fronte di un orientamento che ritiene insita nell'estinzione della società una presunzione pressoché assoluta di rinuncia, correlata a un intento abdicativo di per sé discendente dalla cancellazione dal registro delle imprese e dalla decisione del liquidatore di privilegiare la conclusione e la definizione del procedimento estintivo della società, si sono poste in rilievo le criticità sottese a tale impostazione, riconducibili – tra l'altro – alla contraddittorietà tra l'identificazione della rinuncia abdicativa con la formalità della cancellazione, anche a fronte di circostanze logicamente incompatibili (quale la coltivazione del giudizio per l'accertamento del credito da parte del liquidatore), nonché all'oggettiva difficoltà di contemperare questo automatismo con il pregiudizio che deriverebbe in capo ai creditori, che vedrebbero invariabilmente esclusa la possibilità che la posta attiva, per effetto della sua trasmissione ai soci, venga destinata al loro soddisfacimento, in ragione di una scelta abdicativa a loro estranea.

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