Responsabilità medica e cure complementari (omeopatia, agopuntura): “copertura” delle linee guida e dati scientifici

16 Aprile 2025

Il Focus si interroga, con particolare riferimento alle c.d. cure complementari, sulla copertura e sulla responsabilità del medico che pratica tali cure ove derivi un danno al paziente, concentrandosi sul ruolo del consenso informato, ancora più centrale nell'ambito di tali cure

Premessa

Partendo da gravi fatti di cronaca giudiziaria, il focus porta l’attenzione sul sistema delle cure mediche, con particolare riferimento alle c.d. cure complementari (omeopatia e agopuntura) sempre più diffuse e in parte disciplinate. Si tratta di cure che, per quanto ammesse e riconosciute dal legislatore, suscitano un ampio dibattito scientifico circa la loro efficacia, molto spesso non dimostrata.

Partendo dal dato normativo, occorre interrogarsi sulla copertura e sulla responsabilità del medico che pratica tali cure, ove derivi un danno al paziente, anche per non essersi sottoposto alle cure farmacologiche ufficiali. Detto diversamente, nel contesto normativo delle cure complementari si pone la questione della responsabilità civile medica nel seguire le linee guida e nell’errore prescrittivo.

Caso e questione

La c.d. medicina complementare è sempre più praticata e diffusa. Basti pensare all'omeopatia e all'agopuntura.

Non sono ipotesi di scuola quelle di medici che curano ricorrendo esclusivamente all'omeopatia.

Nel 2021 la Cassazione ha riconosciuto la responsabilità di un medico che ha curato un melanoma maligno con la sola omeopatia, con esito nefasto per il paziente (Cass. pen., sez. IV, 4 novembre 2021, n.5117).

Ed ancora, recente è la conferma della condanna di un medico per avere causato la morte di un bambino per un'otite non curata con farmaci appropriati, ma con l'omeopatia (per la notizia, leggi qui).

Al di là della responsabilità penale, in questa sede interessa il profilo della responsabilità civile.

La medicina alternativa è un insieme di pratiche che vengono utilizzate per curare varie malattie; si pensi:

  • alla ayurvedica;
  • alla medicina tradizionale cinese;
  • all'agopuntura;
  • all'omeopatia;
  • alla fitoterapia;
  • alla chiropratica e
  • all'osteopatia. 

Come vedremo di seguito, nell'ambito della disciplina normativa, vengono considerate:

  • l'agopuntura;
  • la fitoterapia e
  • l'omeopatia suddivisa in tre sottoelenchi:
    • omeopatia;
    • omotossicologia;
    • antroposofia.

È interessante soffermarsi in particolare sulla omeopatia e sull'agopuntura.

Quadro normativo e disciplina

Con l'Accordo Stato-Regioni del 7 febbraio 2013 sono stati stabiliti i criteri e le modalità per l'esercizio delle discipline di Agopuntura, Fitoterapia e Omeopatia da parte dei Medici Chirurghi, degli Odontoiatri, dei Farmacisti e dei Veterinari. I punti che interessano in questa sede sono:

  • le discipline complementari considerate sono:
    • l'agopuntura;
    • la fitoterapia;
    • e l'omeopatia  suddivisa in 3 sotto-elenchi:
      • omeopatia,
      • omotossicologia
      • e antroposofia;
  • è prevista l'istituzione di elenchi presso gli Ordini provinciali del Medici Chirurghi e Odontoiatri che certifichino la professionalità dei professionisti esperti nelle medicine complementari/non convenzionali, a tutela della salute dei cittadini e a garanzia del corretto esercizio della Professione;
  • l'art. 1 definisce il campo di applicazione, sancendo che l'Agopuntura, la Fitoterapia e l'Omeopatia costituiscono atto sanitario e sono oggetto di attività riservata di esclusiva competenza e responsabilità professionale del Medico chirurgo e dell'Odontoiatra;
  • l'art. 1 sancisce anche che omeopatia, agopuntura e fitoterapia sono considerate come sistemi di diagnosi, di cura e prevenzione che affiancano la medicina ufficiale avendo come scopo comune la promozione e la tutela della salute, la cura e la riabilitazione;
  • l'art. 3 dell'Accordo stabilisce l'istituzione presso gli Ordini di Commissioni ordinistiche formate da esperti in queste diverse discipline che hanno il compito di valutare i titoli necessari per l'iscrizione negli elenchi.
  • l'art. 4 stabilisce inoltre i criteri del percorso formativo.

Si comprende la rilevanza medica di tali pratiche, che costituiscono atto sanitario.

Nel 2022 l'agopuntura è stata inserita nel Sistema Nazionale Linee Guida dell'Istituto Superiore di Sanità: «l'Agopuntura nel trattamento del dolore». Il documento è stato proposto dalla Federazione Italiana delle Società di Agopuntura – FISA, società scientifica accreditata presso il Ministero della Salute.

Da notare, leggendo il documento, che la certezza nella prova è “moderata” e per lo più «molto bassa», per cui la «forza della raccomandazione è condizionata a favore di agopuntura».

Vale a dire, anticipando quanto si dirà nel prosieguo, che la responsabilità della scelta è sempre in capo al singolo medico, perché la raccomandazione non è «forte a favore dell'agopuntura» (come invece nel caso di donne in età riproduttiva con dismenorrea primaria di intensità moderata o severa, cfr. Addendum nel sito I.S.S. sopra citato), ma “condizionata”.

Pertanto, la “copertura” risulta alquanto limitata per il medico che pratica l'agopuntura.

In questo senso, le cure complementari non sostituiscono la medicina ufficiale, ma la affiancano.

Diversa questione è se la pratica medica viene usata “oltre” le linee guida, ossia per casi non ivi previsti e, quindi, in assenza totale di copertura.

Quanto alla omeopatia, questa è un sistema di cura “non convenzionale”, fondato dal medico tedesco Samuel Hahnemann (1755-1843), basato sul principio che “il simile cura il simile”, vale a dire che una sostanza responsabile della comparsa di disturbi (sintomi) in persone sane può aiutare a guarire tali sintomi nelle persone malate. L'omeopatia utilizza sostanze altamente diluite e cosiddette “dinamizzate”.

I medicinali omeopatici sono definiti ai sensi dell'art. 1, comma 1, lett. d), d.lgs. n. 219/2006, come «ogni medicinale ottenuto a partire da sostanze denominate materiali di partenza per preparazioni omeopatiche o ceppi omeopatici, secondo un processo di produzione omeopatico descritto dalla farmacopea europea o, in assenza di tale descrizione, dalle farmacopee utilizzate ufficialmente negli Stati membri della Comunità europea; un medicinale omeopatico può contenere più sostanze».

Tuttavia, i medicinali omeopatici non hanno indicazioni terapeutiche. In tal senso, peraltro, l'art. 85, comma 2, d.lgs. n. 219/2006 precisa che l'etichettatura ed eventualmente il foglio illustrativo dei medicinali omeopatici recano obbligatoriamente la frase «senza indicazioni terapeutiche approvate».

Pertanto, i medicinali omeopatici non possono essere dispensati come medicinali con indicazioni terapeutiche.

Quello che viene attestato con la procedura di approvazione è la sicurezza del prodotto, non l'efficacia.

L'omeopatia è utilizzata per numerose malattie, tra queste: asma, otite, allergia, dermatite , depressione, stress e ansia, artrite, pressione alta.

Non esistono studi scientifici di buona qualità che ne abbiano dimostrato l'efficacia nella cura di questi e di altri problemi di salute o nella prevenzione delle malattie.

Diverso è l'aspetto della sicurezza, come detto. I medicinali omeopatici ad alte diluizioni possono essere considerati sicuri.

Le idee che sono alla base dell'omeopatia non sono accettate dalla scienza e non sono coerenti con le leggi della fisica moderna.

La scienza spiega i casi in cui l'omeopatia è, o sembra, efficace con il cosiddetto "effetto placebo".

Al di là della difficile spiegazione razionale del suo meccanismo di azione, l'omeopatia ha dimostrato di essere efficace per qualche indicazione terapeutica solo in pochissime sperimentazioni cliniche a cui è stata sottoposta nel corso del tempo, e queste sono risultate di scarsa qualità e attendibilità. Per cui, anche dal punto di vista della medicina basata sulle prove di efficacia (EBM – Evidence Based Medicine), non ci sono evidenze per considerare l'omeopatia clinicamente efficace (così, Istituto Superiore di Sanità, https://www.issalute.it/index.php/la-salute-dalla-a-alla-z-menu/o/omeopatia#bibliografia, si veda anche https://www.ospedalebambinogesu.it/medicina-alternativa-non-e-sempre-sicura-e-non-e-quasi-mai-efficace-133875/, https://www.marionegri.it/magazine/lomeopatia-non-e-una-scienza).

La posizione dell’OMS e del Comitato di bioetica

Abbiamo visto che per quanto le cure complementari abbiano ricevuto un riconoscimento a livello normativo, il sistema rimanda sostanzialmente alla responsabilità del singolo medico la verifica della prescrizione della terapia, ove le raccomandazioni sono per lo più condizionate e con basso riscontro di efficacia o senza indicazione terapeutica.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) riconosce la Medicina Complementare, evidenziando l’importanza di un’azione continua nel campo dell’assistenza sanitaria tradizionale, complementare e integrativa (TCIH) per raggiungere l’obiettivo della copertura sanitaria universale (https://www.who.int/news/item/10-07-2023-who-director-general-discusses-priorities-on-traditional--complementary-and-integrative-healthcare-with-civil-society).

L'OMS “rispetta” (nel mondo multiculturale e del politicamente corretto) gli approcci sanitari tradizionali complementari e integrativi che si sono evoluti nel corso dei secoli in tutto il mondo. Questo non significa anche riconoscerne per ciò solo l’efficacia. Infatti, il ruolo dell'OMS, in qualità di agenzia tecnica delle Nazioni Unite per la salute, è quello di rafforzare la base di prove e i dati per sostenere un uso sicuro, efficace, equo e ottimale e per sostenere un'equa condivisione dei benefici.

L'OMS ha già iniziato a lavorare allo sviluppo di linee guida politiche sull'integrazione della TCI nel sistema di erogazione dell'assistenza sanitaria.

L’OMS non ha decretato l’efficacia delle cure tradizionali e complementari, ma definisce che la regolamentazione proposta dal documento debba riguardare solo quelle pratiche supportate da evidenze di efficacia.

Infatti, l’OMS si riferisce alle medicine, di cui siano comprovate qualità, sicurezza ed efficacia, contribuiscono all’obiettivo di garantire a tutte le popolazioni l’accesso alle cure (ad esempio, pag. 5 Report OMS; si veda anche https://www.marionegri.it/magazine/lomeopatia-non-e-una-scienza).

Quindi torniamo al punto di inizio, dato che non vi sono evidenze scientifiche, come visto nel caso dell’omeopatia.

Con specifico riferimento all’omeopatia si è espresso anche il Comitato di Bioetica nel 2017.

Il Comitato ha rilevato che la dicitura «medicinale omeopatico» è seguita dalla frase «senza indicazioni terapeutiche approvate» (come visto sopra).

Per il Comitato Nazionale per la Bioetica, tuttavia, ciò non è sufficiente ad assicurare la necessaria trasparenza informativa e il rigore che sono un pre-requisito essenziale per la commercializzazione di qualsiasi farmaco. 

Il Comitato chiede, pertanto, che nel nostro Paese il sistema di etichette riguardante i preparati omeopatici venga modificato al fine di ridurre potenziali effetti confondenti e di garantire l’obiettivo di un’«informazione corretta, completa e realmente comprensibile».

In concreto, Il Comitato ha chiesto che nell’etichettatura ed eventualmente nel foglio illustrativo dei preparati omeopatici:

  • il termine «medicinale» sia sostituito dal termine «preparato»;
  • la frase «Medicinale omeopatico senza indicazioni terapeutiche approvate» sia modificata e integrata in questo modo: «Preparato omeopatico di efficacia non convalidata scientificamente e senza indicazioni terapeutiche approvate».

Si comprende, quindi, la richiesta di grande attenzione per evitare una facile confusione o sovrapposizione di concetti.

La responsabilità nelle cure complementari e l. n. 24/2017 c.d. Gelli-Bianco

Da quanto esposto emerge che nel quadro generale le cure alternative ricevono un riconoscimento e una disciplina circoscritte.

Più precisamente, la “copertura” delle linee guida e dei dati scientifici è piuttosto limitata (agopuntura), se non inesistente (omeopatia).

Come già detto, poi, diverso è il caso di uso “al di fuori” delle linee guida, per trattamenti non contemplati, per cui la copertura è totalmente assente lea responsabilità del medico massima.

Come emerge dalla stessa terminologia, queste cure non sostituiscono e neppure sono un'alternativa alla medicina ufficiale, ma sono complementari.

I termini medicina complementare, alternativa e integrativa sono spesso usati in modo intercambiabile, ma i loro significati sono diversi:

  • la medicina complementare si riferisce a pratiche non convenzionali utilizzate insieme alla medicina convenzionale;
  • la medicina alternativa si riferisce a pratiche non convenzionali utilizzate in luogo della medicina convenzionale;
  • la medicina integrativa si riferisce all'uso di tutti gli approcci terapeutici appropriati (convenzionali e non convenzionali) in una struttura focalizzata sulla salute, la relazione terapeutica e con un approccio olistico alla persona.

Da qui il tema della responsabilità medica assume una prospettiva più chiara.

L'art. 5 della l. Gelli stabilisce che «gli esercenti le professioni sanitarie, nell'esecuzione delle prestazioni sanitarie con finalità preventive, diagnostiche, terapeutiche, palliative, riabilitative e di medicina legale, si attengono, salve le specificità del caso concreto, alle raccomandazioni previste dalle linee guida pubblicate ai sensi del comma 3 (…). In mancanza delle suddette raccomandazioni, gli esercenti le professioni sanitarie si attengono alle buone pratiche clinico-assistenziali».

Al di là della nota questione della standardizzazione della cura, col rischio di spersonalizzazione e di burocratizzazione dell'attività professionale medica e di ricerca, occorre ricordare che il rischio di una medicina semplificata, meccanica e stereotipata deve confrontarsi con la constante affermazione giurisprudenziale che le linee guida possono rappresentare uno strumento utile di accertamento, ma non costituiscono regole cautelari assolute, sia perché prive della prescrittività, sia perché troppo variabili, non affidabili e non escludenti il dovere del medico di perseguire la migliore soluzione per il paziente (Cass. civ., sez. III, 11 dicembre 2023, n.34516; Cass. civ., sez. III, 29 aprile 2022, n.13510: il soft law delle linee guida non ha valore di norma dell'ordinamento ma è espressione di parametri per l'accertamento della colpa medica; Cass. civ., sez. III, 9 maggio 2017, n. 11208; Cass. civ., sez. III, 30 novembre 2018, n. 30998; Cass. pen., sez. un., 21 dicembre 2017, n. 8770; Cass. pen., sez. IV, 20 aprile 2017, n. 28187; Cass. pen., sez. IV, 18 giugno 2013, n. 39165; Cass. pen., sez. IV, 11 luglio 2012, n. 35922).

Il medico deve dimostrare di conoscere le linee guida, di averle esaminate criticamente all'atto della scelta diagnostica o terapeutica, sia quando si sia ad esse uniformato, sia quando se ne sia discostato.

Nel caso di cure complementari il medico deve sapere cha la copertura delle linee guida è molto limitata, se non esclusa oppure che non ci sono evidenze scientifiche ed indicazioni terapeutiche di taluni prodotti.

Le linee guida si sostanziano in raccomandazioni di comportamento clinico sviluppate attraverso un processo sistematico di elaborazione concettuale, volto a offrire indicazioni utili ai medici nel decidere quale sia il percorso diagnostico terapeutico più appropriato in specifiche circostanze cliniche. La disposizione limitativa della responsabilità è applicabile esclusivamente nei casi in cui si discuta della perizia del sanitario, non estendendosi alle condotte professionali negligenti ed imprudenti, anche perché concettualmente da escludere che le linee guida possano in qualche modo prendere in considerazione comportamenti connotati da tali profili di colpa.

Sotto il profilo della colpa, l'errore del medico può essere compiuto in tutte le fasi del processo di guarigione della malattia: nella fase diagnostica, in quella prognostica e nella fase terapeutica:

  • l'errore diagnostico si realizza nel non corretto inquadramento diagnostico della patologia, a cominciare ad esempio dalla sottostima o addirittura nel mancato rilievo di una allarmante sintomatologia, piuttosto che il ritardo diagnostico che procrastina a danno del paziente l'esecuzione di necessarie e indispensabili terapie (si pensi al caso di avvio di cure complementari in luogo di quelle ufficiali, sottostimando o ignorando una situazione patologica).
  • l'errore prognostico deriva invece da un giudizio di previsione sul decorso e soprattutto sull'esito di un determinato quadro clinico che però si rivela sbagliato magari perché correlato ad errore diagnostico, mentre
  • l'errore in fase terapeutica attiene al momento della scelta del trattamento sanitario o a quello della sua esecuzione (si pensi al caso di una cura complementari che nel corso del trattamento si dimostri palesemente inefficace e si perseveri).

In questo quadro generale, la responsabilità nel caso di cure complementari diviene più “palpabile”:

  • infatti, come visto, le cure complementari non hanno una indicazione terapeutica (cfr. omeopatia), oppure hanno una indicazione condizionata (cfr. agopuntura). Da qui, il medico non risulta avere una “copertura” dalle linee guida. Questo, peraltro a prescindere dal volere qualificare l'obbligazione del professionista come obbligazione di mezzi o di risultati: in entrambi i casi l'indicazione terapeutica è, nella migliore delle ipotesi, bassa. Detto diversamente, anche considerando un'obbligazione di mezzi, stando alle linee guida e alle indicazioni terapeutiche, le cure complementari, applicate come unico ed esclusivo strumento di cura, non costituiscono neppure “mezzi” idonei a raggiungere lo scopo, ossia la guarigione.
  • così, è responsabile per il decesso di paziente il medico che ha consigliato di non sottoporsi ad intervento. Correttamente è ravvisata la responsabilità per il decesso di una paziente, in cooperazione colposa con il medico curante, anche a carico della collega di studio e “mentore” del medico curante, la quale, avendo più volte visitato la paziente, cui era stato diagnosticato [già nel 2005] un «nevo discromico e plemorfo in regione scapolare sinistra», le abbia consigliato di non sottoporsi ad un intervento di relativa asportazione, indicandole una terapia ricavata dalla medicina omeopatica [c.d. nuova medicina germanica di Hamer] priva di qualsiasi riconoscimento scientifico, reiterando gli stessi suggerimenti negli anni successivi, anche dopo l'asportazione del nevo [nel 2014], e la formulazione della diagnosi di «melanoma maligno a cellule epitelimorfe», in questo modo facendo sì che alla paziente non venissero praticati tempestivamente interventi e terapie necessarie (tra cui asportazione chirurgica del nevo e dei linfonodi), così non impedendone il decesso [avvenuto nel 2014] a seguito di molteplici metastasi [nella specie, quanto alla dimostrazione del nesso causale, risultava dimostrato in fatto che nel 2012 non vi erano segni di metastasi, che la stadiazione del melanoma era intervenuta solo nel 2014, con l'accertato interessamento di due linfonodi, onde logicamente se ne era dedotto che laddove alla paziente, quantomeno dal 2012, invece di proseguire nella terapia omeopatica, fosse stato consigliato di sottoporsi all'asportazione del nevo e poi alla chemioterapia, ovvero alla innovativa terapia biomolecolare, l'aspettativa di vita della stessa sarebbe stata certamente più lunga e con sofferenze ben inferiori a quelle effettivamente patite]: Cass. pen., sez. IV, 4 novembre 2021, n.5117;
  • il medico omeopata che, allorquando all'evidenza la terapia applicata al paziente non si riveli efficace, ma soprattutto allorquando si riveli produttiva di danno, ometta di interrompere il trattamento alternativo e non avvisi il paziente della necessità di effettuare indagini diagnostiche specialistiche e di ricorrere alla medicina tradizionale, deve ritenersi civilmente responsabile del danno medesimo, a meno che non dimostri di aver adeguatamente informato il paziente: l'omeopatia, come noto, costituisce un sistema di medicina alternativa che, in quanto tale, mira pur sempre alla guarigione dei pazienti. Ora, se è vero che uno dei principi fondamentali dell'omeopatia è costituito dal fatto che diagnosi e terapia devono riguardare l'intero corpo, ciò non significa naturalmente che l'omeopata debba evitare gli accertamenti diagnostici specialistici riguardanti il singolo organo, affetto da patologia, ma vuol dire soltanto che egli non possa fermarsi alle indagini specifiche riguardanti il singolo organo, dovendo invece estendere le indagini all'intero corpo del paziente, al fine di avere una visione più approfondita della patologia onde poter individuare la terapia più efficace (Cass. civ., sez. III, 1° aprile 2011, n. 7555).

Il medico, dunque, può essere responsabile:

  • per mancata diagnosi precoce e
  • per mancato trattamento della malattia con cure adeguate o mancato inoltro a medico tradizionale per la cura della stessa,
  • per mancata diagnosi/prognosi nella fase del trattamento, se la terapia applicata non si riveli efficace, ometta di invitare il paziente a compiere accertamenti diagnostici specialistici o a rivolgersi alla terapia medica tradizionale.

A fronte di patologie gravi, le linee guida prevedono visite specialistiche e le necessarie terapie farmacologiche.

Naturalmente residuano altre ipotesi di responsabilità sotto altri aspetti, che riguardano più in generale un trattamento:

  • vi può essere il rischio di possibili reazioni indesiderate (reazioni avverse) nel caso di impiego di prodotti, con dosi anche piccole di componenti che, seppur “naturali”, possono provocare allergie o interagire con farmaci convenzionali. La diluizione in alcol, per esempio, può essere dannosa per i bambini. Preparazioni che contengono lattosio e glucosio sono sconsigliate a persone sensibili a queste sostanze (intolleranti o diabetici). È, quindi, responsabile il medico al quale sono state comunicate eventuali intolleranze e allergie ed abbia egualmente indicato prodotti che poi hanno causato le reazioni avverse.
  • vi può essere il rischio derivante dalla violazione di regole sanitarie. Si pensi al caso concreto del paziente che agisca nei confronti di un medico, allegando che le prestazioni da quest'ultimo eseguite presso il suo studio (nella specie, un ciclo di interventi di agopuntura) gli abbiano cagionato un danno (nella specie, per aver contratto l'epatite "C"), può proporre la domanda risarcitoria davanti al giudice del luogo in cui egli risiede: Cass. civ., sez. III, 27 febbraio 2009, n.4914;
  • sullo sfondo rimane l'illecito disciplinare, solo pensando all'art. 13 del cod. deont. medico (La prescrizione deve fondarsi sulle evidenze scientifiche disponibili, sull'uso ottimale delle risorse e sul rispetto dei principi di efficacia clinica, di sicurezza e di appropriatezza. Il medico tiene conto delle linee guida diagnostico-terapeutiche accreditate da fonti autorevoli e indipendenti quali raccomandazioni e ne valuta l'applicabilità al caso specifico) o all'art. 15 sulle cure non convenzionali (Il medico può prescrivere e adottare, sotto la sua diretta responsabilità, sistemi e metodi di prevenzione, diagnosi e cura non convenzionali nel rispetto del decoro e della dignità della professione. Il medico non deve sottrarre la persona assistita a trattamenti scientificamente fondati e di comprovata efficacia. Il medico garantisce sia la qualità della propria formazione specifica nell'utilizzo dei sistemi e dei metodi non convenzionali, sia una circostanziata informazione per l'acquisizione del consenso);
  • l'obbligo di informazione, cui si lega l'eventuale violazione di norme in tema di consenso informato, ove non sia stata correttamente data informazione circa la portata del trattamento o della prescrizione.

Come noto, il consenso informato non è un atto meramente formale e non lo si può degradare a tale.

L'argomento merita una considerazione conclusiva.

Considerazioni conclusive. Il consenso informato

L'ultimo aspetto di possibile responsabilità prospettato (il consenso informato) impone una riflessione conclusiva di più ampia portata.

Infatti, l'informazione e il consenso informato costituiscono un cardine del nostro sistema della responsabilità medica.

Invero il diritto all'informazione e alla trasparenza assume un ruolo centrale ed essenziale anche guardando alla disciplina consumeristica (solo considerando i preparati come prodotti e non solo come medicinali), con questo richiamando quanto ritenuto dal Comitato di bioetica, ed assume connotati del tutto peculiari in campo medico ove viene in considerazione il diritto alla salute e, appunto, il consenso informato.

L'inadempimento all'obbligo di acquisire il consenso informato presenta due anime diverse (Cass. civ., sez. III, 11 novembre 2019, n. 28985; Cass. civ., sez. III, 4 novembre 2020, n. 24471):

  • il diritto all'autodeterminazione;
  • il diritto alla salute.

Il consenso deve essere personale, specifico ed esplicito, nonché tradursi in una manifestazione di volontà effettiva, reale e pienamente consapevole, basandosi su informazioni dettagliate fornite al paziente.

Quanto alle modalità ed ai caratteri del consenso alla prestazione medica, anzitutto, esso deve essere personale (salvo i casi di incapacità di intendere e volere del paziente), specifico e esplicito, nonché reale ed effettivo, non essendo consentito il consenso presunto; deve essere pienamente consapevole e completo, ossia deve essere, "informato", dovendo basarsi su informazioni dettagliate fornite dal medico, ciò implicando la piena conoscenza della natura dell'intervento medico e/o chirurgico, della sua portata ed estensione, dei suoi rischi, dei risultati conseguibili e delle possibili conseguenze negative (Cass. civ., sez. III, 4 febbraio 2016, n. 2177; Cass. civ., sez. III, 20 agosto 2013, n. 19220; Cass. civ., sez. III, 27 novembre 2012, n. 20984).

Allora, il consenso informato sulle cure complementari può assumere una posizione centrale sotto due aspetti:

  1. da una parte, indica indirettamente quanto il medico conosca le linee guida e la base scientifica della cura complementare proposta, quindi la sua perizia nell'applicarle, ovvero la sua colpa (negligenza e imprudenza) nella cura, diversamente dovendo ricorrere alla medicina ufficiale;
  2. dall'altra, propriamente incide sull'alleanza terapeutica e sul diritto all'autodeterminazione del paziente e sulla sua salute.

Molto spesso, le cure complementari vengono usate utilmente, appunto, “assieme” alla medicina ufficiale, solo pensando alla cura del dolore.

Questo porta il pensiero a fattispecie diverse, ma vicine, ossia alla medicina palliativa e alle cure sperimentali. La medicina complementare potrebbe costituire un ausilio analogo.

Ma anche in questo ambito occorre riconoscere la centralità del consenso informato.

Infatti, integra il reato di omicidio volontario la somministrazione di trattamenti di medicina palliativa, dai quali consegua, anche come anticipazione secondaria, la morte del paziente, nel caso in cui non siano ritualmente adottati i relativi protocolli terapici e le cure siano somministrate in assenza della una previa accurata anamnesi del dolore e dell'acquisizione del consenso libero, consapevole e informato dell'interessato: Cass. pen., sez. I, 30 settembre 2022, n. 48944.

Così anche nelle cure sperimentali: deve ritenersi sussistere, per violazione delle regole in tema di consenso informato, la responsabilità della struttura sanitaria che abbia sottoposto un paziente affetto da grave patologia cardiaca al prelievo di cellule staminali destinate a una terapia in favore di un congiunto, senza informarlo del carattere sperimentale di tale terapia né delle possibili conseguenze dannose di tale prelievo per la salute (Trib. Napoli, 16 ottobre 2008).

Pur nella diversità di ipotesi, il consenso informato non può prescindere anche nelle cure complementari, che, come visto, costituiscono atto medico.

Il medico, infatti, può essere responsabile per mancata diagnosi precoce, oppure per mancato trattamento della malattia con cure adeguate o mancato inoltro a medico tradizionale per la cura della stessa, oppure per mancata diagnosi/prognosi nella fase del trattamento, se la terapia applicata non si riveli efficace, ometta di invitare il paziente a compiere accertamenti diagnostici specialistici.

A fronte di patologie gravi, le linee guida prevedono visite specialistiche e le necessarie terapie farmacologiche.

Dunque, è molto importante portare l'attenzione sul reale ruolo e posizione della c.d. medicina complementare (e non alternativa) rispetto a quella ufficiale, sia per il medico, sia per il paziente.

Troppo spesso assistiamo a rappresentazioni distorte, come se le cure complementari fossero alternative.

Come visto, così non è.

Soprattutto, vi può essere il rischio che l'amplificazione o la strumentalizzazione della disciplina normative induca in errore il medico stesso. Come già esposto, la disciplina dei medicinali omeopatici, ad esempio, non significa che sia stata riconosciuta l'efficacia, ma solo la sicurezza.

Al contrario, il medico deve conoscere esattamente i limiti della copertura normativa e delle linee guida riguardo alle cure complementari.

Diversamente, il campo della responsabilità civile (per quanto ci interessa) è aperta.

Soprattutto, colpisce la “tolleranza” rispetto a forme di amplificazione, prive di base scientifiche riconosciute.

In precedenza si è fatto riferimento, non casualmente, alla disciplina consumeristica. Infatti, guardando al prodotto omeopatico, può essere facile l'induzione in errore.

Penso ad un caso reale, di richiesta ad un farmacista di un prodotto naturale a base di arnica o artiglio del diavolo. Ebbene, il farmacista aveva fornito un medicinale omeopatico a base di arnica, ma, come visto, le indicazioni scientifiche escludono che si trovi tali componente, quindi il preparato omeopatico non dovrebbe corrispondere alla richiesta di un prodotto naturale come richiesto, anche dal punto di vista del Codice del Consumo.

Le richieste del Comitato di bioetica, quindi, si dimostrano condivisibili e, soprattutto, occorre un importante campagna di informazione, per dare alla medicina complementare (e non alternativa) il corretto collocamento e riconoscimento, evitando abusi o errori, a tutela della salute.

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