L’imprescrittibilità dell’azione di rivendicazione

Lorenzo Balestra
16 Aprile 2025

La domanda di rivendicazione interrompe il decorso del termine per l'usucapione?

La norma che disciplina l'azione di rivendicazione è l'art. 948 c.c. a mente del quale «Il proprietario può rivendicare la cosa da chiunque la possiede o detiene e può proseguire l'esercizio dell'azione anche se costui, dopo la domanda, ha cessato, per fatto proprio, di possedere o detenere la cosa. ...».

Inoltre, ove si riferisca a beni immobili, la domanda giudiziale, ai fini della opponibilità della sentenza a soggetti terzi, dovrà essere trascritta ai sensi dell'art. 2653, comma 1, n. 1, c.c.

A tal proposito, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1165 e 2943 c.c., la giurisprudenza ritiene che la domanda di rivendicazione interrompa sicuramente il decorso del termine per l'usucapione.

La stessa giurisprudenza, però, a tal proposito chiarisce diversi aspetti assai rilevanti che è bene indicare brevemente per rispondere in modo compiuto al quesito.

Innanzitutto, Cass. civ., sez. II, 29 dicembre 2023, n. 36394 ha chiaramente affermato, in motivazione, che «... la domanda giudiziale pervenuta a conoscenza della controparte costituisce esercizio effettivo del diritto sufficiente ad interrompere la prescrizione, quale che sia l'esito successivo del giudizio, e perfino quando la domanda sia dichiarata nulla, permanendo comunque l'effetto della domanda relativo alla sospensione del decorso del termine prescrizionale fino al passaggio in giudicato della sentenza (vedi Cass. civ., sez. II, 2 ottobre 2018, n. 23850Cass. civ., sez. II, 31 luglio 2013, n. 18353Cass. civ., sez. lav., 23 ottobre 2007, n. 22238)».

Quanto alla durata dell'effetto interruttivo la recente Cass. civ., sez. II, 24 febbraio 2025, n. 4803, ha affermato, in motivazione, che «Questa Corte (Cass. civ., sez. II, 25 novembre 2021, n. 36627) ha poi statuito specificamente che "La proposizione di una domanda giudiziale determina, sino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio, l'interruzione della prescrizione acquisitiva che regola il possesso ad usucapionem. Ne consegue che, se il giudizio si conclude con il riconoscimento del diritto del titolare, il possessore potrà invocare l'usucapione in forza della protrazione del suo possesso solo a decorrere dal passaggio in giudicato, fatte salve le ipotesi di comportamenti provenienti dal possessore medesimo e comportanti, anche implicitamente, il riconoscimento del diritto del dominus».

Sulla validità della domanda giudiziale introdotta, Cass. civ., sez. II, 4 ottobre 2023, n. 27989, ha affermato che «In tema di diritti reali, la domanda giudiziale proposta dal proprietario, contenente la richiesta di rilascio dell'immobile nei confronti del possessore, pur se dichiarata inammissibile (nella specie atto di appello contenente una domanda nuova), costituisce atto idoneo a produrre effetti interruttivi del termine per usucapire, ex artt. 1165 e 2943 c.c.»

Altra importante specificazione si riferisce al soggetto proponente la domanda di rivendicazione che, affinché si verifichino gli effetti interruttivi, deve essere il titolare del diritto fatto valere: «L'art. 1165 c.c. nel prevedere che in materia di usucapione trovino applicazione, in quanto compatibili con la disciplina della materia, le disposizioni generali sulla prescrizione e quelle relative alle cause di sospensione, all'interruzione ed al computo dei termini, rinvia implicitamente anche all'art. 2943 c.c., che si intitola interruzione da parte del titolare e che attribuisce efficacia interruttiva della prescrizione all'atto col quale il titolare del diritto inizi un giudizio, sia esso di cognizione, conservativo o esecutivo. In particolare, la domanda giudiziale, per essere idonea a interrompere il possesso ad usucapionem, dev'essere oltre che diretta al recupero del possesso, validamente proposta sotto il profilo della tempestività, della legittimazione, della rappresentanza e ogni altro elemento necessario per un'efficace imploratio iudicis officii, e che l'atto interruttivo dell'usucapione oltre a dover rientrare fra quelli tassativamente previsti dalla legge, deve provenire dal titolare del diritto e non da un terzo estraneo al rapporto relativo, a meno che questi non agisca come rappresentante, o mandatario del titolare del diritto.» (Cass. civ., sez. II, 11 gennaio 2024, n. 1118); la stessa Cassazione, in questa sentenza afferma anche un altro importantissimo principio, secondo il quale «Con riguardo ai beni di proprietà comune pro indiviso, deve escludersi che gli atti interruttivi del possesso ad usucapionem posti in essere da uno dei comproprietari pro indiviso estendano i loro effetti anche agli altri, non essendo ammissibile un possesso ad usucapionem esercitato in modo diverso su quote ideali indivise dello stesso bene. Per i diritti reali, per i quali non vale la solidarietà, infatti, i comportamenti dei singoli compossessori o comproprietari giovano solo a coloro che li hanno posti in essere.».

Come corollario, poi, la stessa giurisprudenza ha affermato che l'effetto interruttivo si produce solo quando la domanda sia diretta a far valere una pretesa incompatibile con gli effetti derivanti dal decorso del termine per usucapire: «A mente dell'art. 2943, comma 1, c.c., richiamato dall'art. 1165 c.c. in tema di usucapione, la domanda giudiziale ha efficacia interruttiva del decorso del termine utile per usucapire, qualora sia diretta a far valere una pretesa incompatibile con gli effetti derivanti dal trascorrere del termine; pertanto, tale effetto non è prodotto dalla domanda con cui il proprietario del suolo chieda, ai sensi dell'art. 938 c.c., il pagamento del doppio del valore del terreno occupato in buona fede dalla costruzione eretta sul fondo attiguo, in quanto è diretta a dismettere il bene, non già a recuperarne il possesso.» (Cass. civ., sez. II, 30 marzo 2006, n.7509).

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