Impugnazione inviata a mezzo PEC e inammissibilità
16 Aprile 2025
In Cassazione si registra un contrasto delle conseguenze nel caso in cui l'atto di impugnazione, pur essendo indirizzato ad una delle PEC del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato, non sia quella relativa alla ripartizione adottata all'interno dei singoli uffici delle caselle “depositoattipenali” assegnate dal DGSIA. Un indirizzo giurisprudenziale, valorizzando l'idoneità della notifica al raggiungimento dello scopo, ritiene che non è causa di inammissibilità la trasmissione dell'atto di gravame ad un indirizzo di PEC diverso da quello specificamente designato per la ricezione, purché riferibile al medesimo ufficio giudiziario che ha emesso il provvedimento impugnato ed indicato nell'elenco allegato al provvedimento del DGSIA (Cass. pen., sez. VI, n. 4633/2024). Un diverso orientamento ritiene, invece, che è inammissibile il ricorso per cassazione depositato telematicamente presso un indirizzo di PEC diverso da quello indicato nel decreto del DGSIA di cui all'art. 87-bis, comma 1, d.lgs. n. 150/2022. Si è pronunciato in tal senso, da ultimo, Cassazione n. 47557 depositata il 30 dicembre 2024, che ha colpito il gravame con la massima sanzione processuale in quanto l'indirizzo PEC utilizzato dal ricorrente, pur compreso nell'elenco pubblicato nel portale dei servizi telematici del Ministero della Giustizia, non è riferibile all'ufficio della corte d'appello di Bari deputato a ricevere gli atti di impugnazione. A questo ufficio, infatti, risulta assegnato l'indirizzo PEC depositoattipenali.3.ca.bari@giustiziacert.it, diverso, quindi, da quello utilizzato dal ricorrente è stato depositoattipenali.2.ca.bari@giustiziacert.it (alle stesse conclusioni giunge, Cass. pen., sez. II, n. 11795 del 2024). Ad avviso del collegio, detta norma non può essere oggetto di interpretazioni dirette a valorizzare la capacità del deposito non legittimo di raggiungere lo scopo a cui l'atto di ricorso è diretto. L'art. 12 delle preleggi, nel dettare le principali regole di interpretazione, dispone che nell'applicare la legge «non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore», e «non vi è dubbio che la volontà del legislatore, nel caso di specie, è quella di realizzare un "percorso telematico" con finalità di semplificazione. Legittimare la possibilità di scrutinare, caso per caso, l'"effettività" dell'inoltro del ricorso presso indirizzi di posta non abilitati implicherebbe, infatti, l'affidamento della legittimità della progressione processuale ad imprevedibili – in quanto non imposti dal legislatore - controlli della cancelleria su caselle di posta non abilitate al ricevimento delle impugnazioni. In tal modo si contravviene alla ratio di semplificazione delle comunicazioni e di accelerazione dell'iter processuale, che informa la revisione delle regole del processo penale effettuata dal d.lgs. n. 150/2022». Viene richiamato e rigettato il (primo e) diverso orientamento, ritenendolo non convincente traducendosi in una disapplicazione, di fatto, della sanzione della inammissibilità stabilita dal legislatore. Tale indirizzo ritiene di conformarsi al principio del favor impugnationis, ma la sentenza Sez. Unite Bottari n. 1626/2021, relativa alle impugnazioni cautelari, ha precisato che tale principio non può, tuttavia, tradursi nell'attribuzione al diritto vivente di una potestà integrativa della volutas legis, né quindi consentire l'individuazione di diverse forma di presentazione del ricorso rispetto a quelle volute dal legislatore, ed ha ribadito che, in ogni caso rimane a carico del ricorrente il rischio che l'impugnazione, ove presentata ad un ufficio diverso, sia dichiarata inammissibile per tardività, in quanto, escluso comunque che sulla cancelleria incomba l'obbligo di trasmissione degli atti al giudice competente ex art. 582, comma 2, c.p.p., la data di presentazione rilevante ai fini della tempestività è quella in cui l'atto perviene all'ufficio competente a riceverlo. Contro quest'ultimo orientamento, e soprattutto avverso la sentenza n. 47577/2024, si è scagliata l'Unione camere penali, laddove si è dichiarato l'inammissibilità di un ricorso affermando che lo stesso sarebbe stato inviato ad una casella di PEC sbagliata, supponendo erroneamente l'esistenza di un provvedimento in cui il DGSIA avrebbe specificato la destinazione di ogni singola casella di ‘depositoattipenali' attribuita agli uffici. In verità, argomentano le Camere penali «il provvedimento istitutivo (del 9/11/2020 con l'allegato n. 1 da ultimo modificato il 16/6/2021 con la sola aggiunta di una casella per il deposito presso la Corte di cassazione), si limita ad attribuire ad ogni ufficio giudiziario una o più caselle, senza in alcun modo attribuire alle stesse una determinata funzione in relazione al tipo di atto da inviare». E allora, sono stati i “capi degli uffici” ad adottare “provvedimenti organizzativi interni, evidentemente sprovvisti di forza normativa, con i quali si è inteso destinare le singole caselle a differenti attività o uffici interni, la cui inosservanza non può dunque rappresentare una violazione di Legge e non può dare luogo ad una conseguenza tanto grave quale è quella della declaratoria di inammissibilità di un'impugnazione. L'Unione delle Camere penale, nell'augurarsi che «tale arresto rimanga isolato e che alle sue tragiche conseguenze sia trovata adeguata soluzione», mettono ancora una volta in guardia sulla difficile transizione al processo penale telematico che “necessita inderogabilmente di una uniformità di applicazione delle norme, sia per gli uffici che per le parti. «I fondamentali diritti di libertà della persona ed il pieno esercizio della funzione difensiva – concludono -, non possono in nessun caso essere messi a repentaglio da indebiti formalismi procedurali o asserviti ad interessi estranei al processo penale, dando luogo ad inaccettabili rimedi sanzionatori del tutto sproporzionati rispetto alle mere finalità organizzative». In verità, il secondo orientamento estende, nel suo massimo prolungamento ermeneutico, l'indirizzo già dettato nel caso di impugnazione inviata ad un indirizzo PEC non compreso nell'elenco del provvedimento del DGSIA. Anche in questa diversa ipotesi si era creato un contrasto interpretativo in seno alla Cassazione, con alcune pronunce che valorizzando il favor impugnationis si erano pronunciate nel senso dell'ammissibilità qualora si era raggiunto lo scopo a cui l'atto è diretto (Cass. pen., sez. VI, n. 9093/2023). Di diverso avviso, invece, quelle sentenze più recenti che si pronunciavano nel senso dell'inammissibilità (Cass. pen., sez. II, n. 4791/2024, che richiama, come fa la recente sentenza n. 47557/2024, le Cass. pen., sez. un., n. 1626/2021). Ora, se per il caso di PEC non compresa nell'elenco del provvedimento del DGSIA può giustificarsi la conclusione dell'inammissibilità, fatto salvo il raggiungimento dello scopo qualora l'impugnazione giunga nella cancelleria del giudice a quo (in sostanza l'impugnante, indirizzando l'impugnazione ad una PEC diversa, ma comunque in uso all'ufficio, accetta il rischio che la PEC non venga aperta e l'impugnazione resti nel Pc della cancelleria del giudice a quo), nel caso in cui la PEC è quella indicata nell'elenco DGSIA, il mero errore di sezione del giudice a quo , non può comportare che calino le forche caudine dell'inammissibilità. Il rito penale telematico deve essere un momento di supporto per lo svolgimento del processo e non certo diventare una gabbia in cui (soprattutto) i difensori restano imbrigliati in lacci e lacciuoli informatici. Spesso vengono richiamate impropriamente le esigenze di celerità del processo penale, in uno ai concordati raggiungimento degli obiettivi del Pnrr di ridurre i tempi di svolgimento del processo. Il processo penale telematico, per bocca degli stessi compilatori della riforma Cartabia, non nasce per velocizzare il processo ma per dematerializzare gli atti (l'unica vera fonte acceleratoria si ha per ridurre i lunghi tempi di attesi tra il giudizio di primo grado e quello di appello, laddove si concentrava obtorto collo la maturazione dei tempi di prescrizione), in omaggio alla transizione ecologica e a quella digitale, attraverso la formazione dell'atto digitale e il fascicolo informatico (artt. 111-bise 111-ter c.p.p.). Si realizza cosi la de-spazializzazione del processo penale che – insieme alla già avviata de-localizzazione del processo (oltre alla implementazione continua della remote justice la mente corre alla trattazione scritta dei giudizi di impugnazione, per cui dapprima l'imputato con la partecipazione a distanza al processo e adesso il suo difensore, salvo che richieda la trattazione scritta, si allontana dall'aula di udienza, rischiando di far diventare i palazzi di giustizia delle cattedrali nel deserto) vengono messe in discussione le componenti spazio e tempo del processo penale. Non si possono ignorare le difficoltà della transizione digitale – alle quali sono legati i ritardi nell'attuazione del processo penale telematico – in quanto mentre il linguaggio analogico riproduce i suoni della nostra voce, quello informatico è un linguaggio di cui gli operatori del diritto non sono domini (ci espropria di qualcosa e rischiamo di diventare fruitori inconsapevoli). La smaterializzazione degli atti penali e del loro deposito nel fascicolo informatico è una conquista irrinunciabile di civiltà e di efficienza. Ma è l'informatica che deve porsi al servizio del processo penale e delle sue regole e non il contrario! Come dimostra l'orientamento più rigoroso, seguito da ultimo da Cass. pen., sez. I, n. 47557/2024, se da un lato vi è il diritto di impugnazione e dall'altro l'esaltazione della procedura informatica e si fa prevalere la seconda finiscono per porre a rischio i diritti fondamentali del cittadino. Il destino dei giuristi sarà quello di gestire l'arte tecnica per acquisire una nuova consapevolezza. Proprio per questo, in tale fase delicata di passaggio, il rischio di avallare interpretazioni troppo formalistiche è quello di burocratizzare il digitale e che, quindi, anziché renderlo più snello e semplificato, lo si rende più complicato ampliando – se si passa al deposito tramite il portale, reso obbligatorio per molti atti indicati da ultimo dal DM Giustizia n. 206/2024 – non solo l'ansia nell'attesa del difensore (sperando che il procedimento sia tra quelli autorizzati e che l'atto depositato nel portale, soprattutto laddove soggetto a termini di decadenza, resti in verifica oltre la scadenza del termine e che ove riporti un semplice numero sbagliato sarebbe destinato dapprima all'irricevibilità telematica e poi, per conseguente tardività, all'inammissibilità) ma l'area della responsabilità professionale dell'avvocato laddove scenda la tagliola della massima sanzione processuale che chiude irrimediabilmente le porte del processo. |