Prove illecite: quali sono, come funzionano e interessi in gioco
Pasqualina Farina
07 Maggio 2025
Il contributo esamina la produzione di prove c.d. illecite nel giudizio, che richiede necessariamente un bilanciamento tra contrapposti interessi, tra cui in particolare il diritto alla riservatezza e il diritto di difesa
Breve ricostruzione sistematica
Con la locuzione « prova illecita »si intende solitamente quella formata o ottenuta in violazione di una norma di natura sostanziale, da cui deriva la comminatoria di una sanzione.
A ben guardare, la nozione di illiceità della prova ha senz'altro una doppia anima, potendo investire sia l'oggetto (il risultato probatorio), sia le modalità di acquisizione della stessa.
Così, per un verso le prove - pur rilevanti – che sono state formate all'interno del giudizio possono definirsi illecite endoprocessuali; mentre, nell'accezione propria delle prove illecite esoprocessuali (o illegittime) rientrano tutte quelle formatesi fuori dal processo, aggirando o pretermettendo la normativa sull'acquisizione e assunzione oppure quelle che sono entrate nel possesso di chi vuole avvalersene tramite il compimento di un atto illecito (così Graziosi, Contro l'utilizzabilità delle prove illecite nel processo civile, GPC, 2016, 945. Su tali aspetti v., inoltre, gli studi monografici di: Minafra, Contributo allo studio delle prove illecite nel processo civile, Bari 2020; Passanante, La prova illecita nel processo civile, Torino 2017).
Premesso che non sussiste sovrapposizione tra la categoria delle prove illecite e quella delle prove atipiche (ed infatti è diversa la prova la cui fonte non sia prevista dalla legge o sia formata in modo difforme rispetto al modello legale, rispetto a quella illecita che è vietata dall'ordinamento perché formata o illecitamente entrata in possesso della parte), occorre altresì segnalare che per le prove illegittime ciò che viene in rilievo è la violazione delle norme processuali, con conseguente applicazione degli artt. 156 ss. c.p.c., dedicati come noto alle nullità degli atti processuali. Resta da chiarire come – da un punto di vista operativo - tali nullità possano essere rilevate dalla parte.
Se la dottrina più garantista è dell'avviso che le violazioni in tema di ammissibilità o assunzione dei mezzi di prova non siano sanabili ex art. 157 c.p.c. perché funzionali alla formazione del convincimento del giudice (Proto Pisani, Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 1999, 465), per la giurisprudenza si tratta invece di nullità che presentano carattere relativo poiché derivano dalla violazione di norme stabilite non per ragioni di ordine pubblico, ma nell'interesse delle parti (Cass. civ., sez. un., 5 agosto 2020, n. 16723, sulla rilevabilità delle violazioni dei limiti oggettivi (e soggettivi) della prova testimoniale; Cass. civ., sez. un., 6 aprile 2023, n. 9456, in una fattispecie relativa all'incapacità a testimoniare). Prima di procedere oltre occorre ancora chiarire che il giudizio di inammissibilità sulla prova illecita non coincide affatto con il giudizio di (in)ammissibilità sulle prove. Quest'ultimo ha, infatti, carattere intrinseco con conseguente accertamento immediato da parte del giudice (che verte, ad es., sulla genericità dei capitoli ovvero sulla genericità dell'istanza exart. 210 c.p.c.); il giudizio di inammissibilità sulle prove illecite ha, invece, carattere estrinseco, perché non discende direttamente dal mezzo di prova che si vorrebbe utilizzare, ma si fonda sui fatti dai quali quella illiceità sorge, con la conseguenza che richiede un accertamento ben diverso (così, Passanante, op.cit., per il quale, in tale secondo giudizio, si attua una sorta di «processo alla prova», per garantire alle parti un esercizio pieno del diritto di difesa rispetto alla questione sostanzial-processuale dell'ammissibilità della prova illecita).
Il catalogo delle prove illecite
Normalmente, vengono ricondotte nel novero delle prove illecite:
il diario privato contenente dichiarazioni confessorie fraudolentemente sottratto ad un soggetto e poi prodotto contro di lui in giudizio (Pret. Trapani 20 mar. 1993, in Foro it., 1994, I, c. 2575, che ha ritenuto lecita e non lesiva del diritto alla riservatezza, l'utilizzazione in sede giudiziaria di un diario personale);
le scritture contabili sottratte clandestinamente dal lavoratore al datore di lavoro in vista della causa sulla legittimità del licenziamento;
le lettere, o e-mail, trafugate per dimostrare l'entità del patrimonio del coniuge, o sostenere l'esistenza di un adulterio, in una causa di separazione o di divorzio;
le prove acquisite da soggetto espressamente incaricato di rubare, o sottrarre con violenza o minaccia, all'imprenditore concorrente i documenti contenenti informazioni commerciali da utilizzare in un giudizio per concorrenza sleale;
foto o filmati realizzati dall'investigatore privato incaricato del pedinamento di una persona;
captazione e registrazione occulte di conversazioni o immagini effettuate con un mezzo rudimentale quale può essere anche un semplice telefono cellulare od una webcam;
intercettazione ambientale abusiva realizzata con mezzi tecnici professionali più sofisticati.
La tesi dell'inutilizzabilità delle prove illecite
Una parte della dottrina e della giurisprudenza tende ad escludere recisamente l'utilizzabilità delle prove illecite. Si ritiene, infatti, che ad un soggetto non possono riconoscersi, tramite il compimento di un atto illecito (cioè la illegale sottrazione della prova), maggiori benefici (cioè l'utilizzo in causa della prova) di quelli che gli sarebbero consentiti, facendo ricorso ai mezzi legali (cioè la richiesta al giudice di un ordine di esibizione) (Carnelutti, Illecita produzione di documenti, in Riv. dir. proc. civ., 1935, II, 63).
In questa prospettiva, sarebbe inconcepibile che una parte consegua con attività illecita ciò che lecitamente non potrebbe procurarsi. Inoltre, l'acquisizione e l'utilizzabilità delle prove illecite si porrebbe in contrasto con diverse disposizioni di rango costituzionale, quali:
l'art. 13 Cost. che sancisce l'inviolabilità della libertà personale;
l'art. 14 Cost. che garantisce l'inviolabilità del domicilio;
l'art. 15 Cost. sull'inviolabilità della libertà e della segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione;
inoltre, sovente si richiama l'art. 111 Cost. per il quale la giurisdizione, civile e penale, è attuata tramite «il giusto processo regolato dalla legge»: così, si evidenzia che «il modello legale di formazione della prova, nella sua struttura di fondo, è infungibile, perché nella logica dell'art. 111, comma 1, Cost., la tutela processuale delle garanzie fondamentali racchiusa nel canone del giusto processo passa, ed è assicurata, non da una valutazione ex post affidata caso per caso al giudice, ma dall'adeguamento della procedura di formazione della prova ad un paradigma (sufficientemente rigido) predeterminato dalla legge» (così, Graziosi, Usi e abusi di prove illecite e atipiche, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2011, 693. Richiama l'art. 111 Cost. a sostegno dell'inammissibilità della prova illecita anche Comoglio, Le prove civili, Torino, 2010, 64 ss.).
Sulla base di queste disposizioni, infatti, si è ricostruito il generale divieto di utilizzare in giudizio le prove raccolte in violazione dei fondamentali diritti di libertà dei cittadini, operante indistintamente nel processo civile e nel processo penale. Il legislatore costituente, per questa opzione interpretativa nel potenziale conflitto tra l'interesse all'accertamento della verità nei procedimenti giudiziari e la tutela dei diritti fondamentali, ha chiaramente preferito questi ultimi.
Sotto altro profilo l'ordinamento ripudia ogni forma di arbitrario e violento esercizio delle proprie ragioni; tant'è che in campo penale si riviene la fattispecie di cui all'art. 392 c.p., e in quello civile, ad esempio, è istituita la tutela possessoria proprio in ossequio a questo principio; orbene, procurarsi o formare illecitamente prove strumentali all'esito vittorioso di un'azione giudiziaria integra un comportamento teso ad esercitare arbitrariamente le proprie ragioni, che non può legittimamente determinare qualsivoglia effetto favorevole in capo a chi lo ha posto in essere. Si consideri, inoltre, che il legislatore processuale ha disciplinato subartt. 210 ss. l'esibizione istruttoria, uno strumento ad hoc che consente l'acquisizione agli atti del processo di una fonte materiale di prova di cui non si ha la detenzione (per Cass. civ., sez. I, 24 febbraio 2021, n. 5068 la richiesta formulata da una delle parti, per ottenere dal terzo l'esibizione exart. 210 c.p.c. di un documento contenente dati personali dell'altra parte, non può essere respinta per solo il fatto che il richiedente non abbia fatto istanza di accesso ex d.lgs. n. 196/2003, poiché le ragioni di protezione dei dati personali sono per legge recessive rispetto alle esigenze di giustizia e, in un'ottica di concentrazione delle tutele, va favorita la composizione dei diversi interessi in un'unica sede, secondo le regole proprie di quest'ultima. Così argomentando, la S.C. ha confermato la decisione impugnata che, per statuire sul diritto del coniuge divorziato alla quota di TFR incassato dall'altro, aveva accolto la richiesta di ordinare al suo datore di lavoro l'esibizione del documento contenente la relativa liquidazione).
Ora, perseguire lo stesso risultato probatorio con altri mezzi significa acquisire una prova in violazione delle norme processuali che ne disciplinano la formazione. In definitiva, secondo tale orientamento, quand'anche dovessero risultare indispensabili per l'accertamento della verità, questa finalità, pur fondamentale come sopra si è visto, non può essere conseguita a scapito dei diritti di libertà dei soggetti coinvolti nel processo (Graziosi, Usi e abusi, cit., 693).
La giurisprudenza più rigorosa
In giurisprudenza, si afferma che è inutilizzabile in un giudizio civile il materiale probatorio raccolto illecitamente (così Cass. civ., sez. VI, 8 novembre 2016, n. 22677, in un giudizio di separazione personale caratterizzato da sottrazione fraudolenta di file audio con relativa traduzione giurata alla parte processuale che ne era in possesso).
Parimenti, la violazione dei codici deontologici relativi al trattamento dei dati personali, di cui al d.lgs. n. 196/2003, dà luogo all'inutilizzabilità dei dati così raccolti, la quale (nel periodo anteriore al d.lgs. n. 101/2018), è da intendersi come "assoluta", quindi rilevante in sede sia processuale che extraprocessuale, e determina l'impossibilità sia per il datore di lavoro di avvalersi dei predetti dati ai fini di una contestazione disciplinare - e, poi, di produrli in giudizio come mezzo di prova -, sia per il giudice di merito di porli a fondamento della sua decisione (Cass. civ., sez. lav., 11 ottobre 2023, n. 28378).
Ancora, in caso di contestazione, le relazioni degli investigatori privati non possono avere efficacia probatoria se non mediante introduzione nel processo di fatti precisi, circostanziati e chiari che il terzo (investigatore) abbia appreso con la sua percezione diretta: e ciò mediante la raccolta della prova orale nel processo. I risultati delle indagini investigative private possono accedere al processo come prove tramite l'escussione testimoniale del soggetto che abbia percepito direttamente i fatti, nel rispetto del principio dell'oralità e del contraddittorio. Tale regola, di portata generale, non si applica qualora la parte contro cui le relazioni investigative sono prodotte, non abbia, ai sensi dell'art. 115 c.p.c., specificatamente contestato i fatti in esse dedotti che, dunque, in quel caso, rivestono efficacia probatoria giacché «la non contestazione specifica costituisce un comportamento univocamente rilevante, con effetti vincolanti per il giudice, il quale deve astenersi da qualsivoglia controllo probatorio del fatto non contestato acquisito al materiale processuale» (Trib. Milano, 1° luglio 2015). Le relazioni degli investigatori privati, in caso di contestazione, non possono avere efficacia probatoria se non mediante introduzione nel processo dei fatti precisi, circostanziati e chiari che il terzo (investigatore) abbia appreso con la sua percezione diretta e ciò mediante la raccolta della prova orale nel processo: il rapporto investigativo deve essere oggetto di conferma probatoria in quanto sia stato specificamente contestato dalla controparte (art. 115 c.p.c.), assumendo, altrimenti, un valore pieno di prova documentale (Trib. Milano, sez. IX, 13 maggio 2015).
È, in ogni caso, escluso che le prove illecite possano aggirare preclusioni o divieti dettati da disposizioni sostanziali o processuali, così introducendo surrettiziamente elementi di prova che non sarebbero altrimenti ammessi o la cui ammissione richieda il necessario ricorso ad adeguate garanzie formali (cfr., tra le tante, Cass. civ., sez. II, 5 marzo 2010, n. 5440 che ha enunciato il principio in relazione alla produzione in giudizio di un'attestazione notarile fatta valere come interpretazione autentica di un atto pubblico rogato precedentemente dinanzi allo stesso notaio. E v. pure Cass. pen., sez. V, 29 ottobre. 2024, n. 45002 per cui l'inutilizzabilità delle dichiarazioni rese o delle informazioni acquisite nel corso del procedimento di mediazione civile non riguarda il processo penale, ma solo il giudizio conseguente alla mediazione, attinente alla controversia civile e commerciale. Nel caso di specie il collegio di legittimità ha ritenuto corretta la decisione impugnata che ha ritenuto utilizzabile la testimonianza resa in ordine alle minacce proferite dall'imputato nel corso della mediazione).
L'orientamento opposto
Passando in rassegna l'orientamento opposto, le prove precostituite ottenute dalla parte con mezzi illeciti sarebbero producibili in giudizio ed impiegabili dal giudice al pari di tutte le altre.
In particolare, gli atti illeciti con cui la parte si è procurata o ha formato le prove appartengono ad «un momento pre-processuale, del tutto estraneo al giudizio in corso» e pertanto non possono influire sulla validità degli atti ivi compiuti (Ricci, Le prove illecite nel processo civile , in Riv. trim. dir. proc. , 1987, 64); inoltre, non è rinvenibile nel nostro ordinamento alcuna regola che, espressamente, impedisca l'utilizzabilità di prove precostituite ottenute o formate dalla parte con mezzi illeciti. Che poi questa soluzione non soddisfi sotto il profilo “politico” o “etico” è altra cosa: giuridicamente la disposizione c'è e de iure condito parrebbe anche l'unica applicabile. Se si aggiunge la mancanza di una disposizione di divieto per la prova illecita, si dovrebbe concludere che quest'ultima risulta ammissibile ogni volta in cui è rilevante. In questa prospettiva, si è criticata l'esclusione della prova illecita fondata sui principi costituzionali (libertà personale, inviolabilità del domicilio, inviolabilità della segretezza della corrispondenza) in quanto anche il diritto di difesa costituisce un principio costituzionale. In particolare, lo scopo del processo è la tutela dei diritti che è, a sua volta, tutelata dall'art. 24 Cost. e dall'art. 6 Cedu (oltre che dall'art. 2907 c.c.). Il diritto alla prova consente la realizzazione della tutela dei diritti e non si vede perché il diritto tutelato dall'art. 24 Cost. dovrebbe essere recessivo rispetto agli altri diritti costituzionalmente tutelati. Anche il richiamo all'art. 111 Cost., secondo tale ricostruzione, non sembrerebbe del tutto pertinente. Infatti, la prova illecita entra nel processo nel rispetto delle regole che lo governano — mediante rituale produzione, nel contraddittorio delle parti, del documento rubato o del supporto informatico della conversazione acquisita illecitamente — con la conseguenza che essa rispetta le regole del processo stesso (Passanante, op.loc.cit. ,per il quale è proprio la negazione dell'utilizzabilità che viola il principio del giusto processo). Anche una parte della giurisprudenza, senza esprimersi in modo netto e generale ma tramite un approccio di tipo casistico, tende ad ammettere l'acquisizione e la utilizzabilità della prova illecita. Così la SC, a proposito della c.d. lista Falciani (dal nome del dipendente di un noto istituto di credito che aveva trafugato dati bancari di molti clienti titolari di capitali non denunciati al Fisco che subirono numerosi accertamenti e conseguenti contenziosi tributari) ha deciso in favore del suo utilizzo ai fini dell'accertamento fiscale, perché non ha reputato sussistente alcuna violazione del diritto alla riservatezza del contribuente ed ha attribuito maggiore importanza al dovere inderogabile del contribuente stesso di concorrere alle spese pubbliche ai sensi dell'art. 53 Cost. (Cass. civ., sez. VI, 28 aprile 2015, n. 8605, in Giur. it., 2015, 1610). Per la giurisprudenza di merito (Trib. Roma, ord. 24 febbraio 2017), la mancanza nel processo civile di una specifica norma che escluda la possibilità di utilizzare prove precostituite ottenute tramite un'interferenza illecita nella sfera privata di una delle parti impedisce l'applicazione di sanzioni processuali quali la nullità o l'inefficacia della prova, al contrario di quanto previsto nel procedimento penale (exart. 191 c.p.p.) e fa presumere che il legislatore abbia dato prevalenza al diritto di agire e resistere in giudizio. Né, secondo la decisione ora richiamata, può dirsi che tale divieto sia desumibile dalle disposizioni contenute nel Codice in materia di protezione dei dati personali (introdotto dal d.lgs. n. 196/2003, cd. Codice della privacy e successivamente modificato dal d.lgs. n. 101/2018), che contiene talune deroghe espresse alla regola del c.d. consenso informato al trattamento, allorché il trattamento dei dati, anche di natura sensibile, sia necessario ai fini di far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria. Da ciò si desume il principio generale della libera utilizzabilità dei dati personali anche di natura sensibile, purché sia rispettata la regola di “pertinenza” rispetto alla finalità di difesa in giudizio e di limitazione temporale nella conservazione delle informazioni, regole che nel caso di specie non risultano violate. Per Trib. Bari, sez. I, 16 febbraio 2007, in Giur. mer., 2007, 4, 22, qualsivoglia violazione di leggi o regolamenti nell'utilizzo processuale delle prove (ivi comprese le norme del cd. Codice della privacy) può trovare esito solo nell'ambito dei rispettivi sistemi processuali: e siccome nel processo civile non esiste un divieto esplicito di utilizzo, siccome nel campo delle prove precostituite i momenti di illiceità sono tutti di natura preprocessuale, un documento illecitamente ottenuto in danno della parte avversa e/o utilizzato fuori dalle condizioni previste dal Codice in materia di protezione dei dati personali è comunque utilizzabile come prova, salve le conseguenze extraprocessuali, civili e penali, del comportamento illecito che si è consumato. In un caso avente ad oggetto la concorrenza sleale di ex dipendenti, Trib. Milano, 27 luglio 2016, n. 9431 ha affermato che il codice di procedura civile non contiene, a differenza di quello di procedura penale, alcuna norma che sancisca un principio di inutilizzabilità delle prove illegittimamente acquisite in violazione di legge. Se ne desumerebbe la volontà del legislatore di separare, nel processo civile, la questione processuale della produzione dei documenti, connessa al diritto di difesa, dalla questione sostanziale relativa alle modalità di acquisizione della documentazione, che può essere oggetto di separata controversia civile o, ricorrendone i presupposti, procedimento penale; e lasciare all'apprezzamento del giudice nel caso concreto l'utilizzabilità di prove di cui pure sia dubbia la liceità. È ammissibile la produzione in giudizio di messaggi telefonici e di posta elettronica, anche ove assunti in violazione alle norme di legge per dare piena esplicazione al diritto di difesa. Il contemperamento tra il diritto alla riservatezza e il diritto di difesa è rimesso, in assenza di una precisa norma processuale civile, alla valutazione del singolo giudice nel caso concreto (Trib. Torino, 8 maggio 2013, in Giur. it., 2014, 11, 2480). Cass. civ., sez. I, 12 maggio 2023, n. 13121, nonché Trib. Roma, ord. 24 febbraio 2017 hanno aderito all'orientamento giurisprudenziale per cui nel processo civile non opera la sanzione dell'inefficacia dei documenti acquisiti al di fuori del processo con modalità ritenute non lecite, prevalendo, nel contrasto tra l'interesse privato alla segretezza e diritto alla prova, quest'ultimo. Si richiama, peraltro, anche l'orientamento della giurisprudenza di legittimità che ha evidenziato l'esistenza una “gerarchia mobile” nel bilanciamento dei contrapposti interessi, da intendersi non come rigida e fissa subordinazione di uno degli interessi all'altro, ma come concreta individuazione da parte del giudice dell'interesse da privilegiare tra quelli antagonistici, a seguito di una ponderata valutazione della specifica situazione sostanziale dedotta in giudizio con conseguente bilanciamento tra gli stessi, capace di evitare che la piena tutela di un interesse possa tradursi nella limitazione di quello contrapposto tanto da vanificarne o ridurne il valore contenutistico (Cass. civ., sez. lav., 5 agosto 2010, n. 18279).
Riferimenti
Oltre alla dottrina e alla giurisprudenza richiamata nel testo si richiamano per i necessari approfondimenti i lavori di:
Angeloni, Le prove illecite. Disciplina e rilevanza giuridica delle prove illecite nel processo civile, penale e del lavoro, Padova, 1992.
Cappelletti, Efficacia di prove illegittimamente ammesse e comportamento della parte, in Riv. dir. civ., 1961, 185 ss.;
Comoglio, L’inutilizzabilità assoluta delle prove “incostituzionali”, in Riv. dir. proc., 2011, 30 ss.
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Sommario
La tesi dell'inutilizzabilità delle prove illecite