Il profitto del reato di sottrazione fraudolenta
17 Aprile 2025
Massima Le operazioni di cessione di rami di azienda, pur in sè lecite, divengono fraudolente, sotto il profilo del reato di sottrazione fraudolenta, laddove siano connotate da elementi di artificio tali da rendere più difficoltosa la procedura di riscossione. Il profitto del delitto di sottrazione fraudolenta va individuato nel valore dei beni idonei a fungere da garanzia nei confronti dell'Amministrazione finanziaria ed è quantificabile secondo le disposizioni sulla riscossione coattiva dei tributi. Quanto ai beni immobili, si fa riferimento al ruolo, che costituisce titolo per iscrivere ipoteca per un importo pari al doppio dell'importo del credito per cui si procede. Quanto ai beni mobili, si fa riferimento alle regole sul pignoramento, che deve essere eseguito nel limite di un presumibile valore di realizzo pari all'importo del credito precettato aumentato della metà. Il caso Nel caso di specie, il Tribunale di Mantova, per quanto di interesse, aveva rigettato le istanze di riesame avverso il decreto con il quale il Giudice per le indagini preliminari aveva disposto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta, ai sensi degli artt. 321 cod. proc. pen. e 12-bis D.Lgs. n. 74 del 2000, dei beni intestati o riconducibili ad una società quale profitto del reato di sottrazione fraudolenta realizzato in riferimento ad un debito tributario per ritenute di acconto non versate. Avverso l'ordinanza di rigetto della richiesta di riesame reale veniva proposto ricorso, deducendo la violazione di legge in relazione all'art. 11 d.lgs n. 74 del 2000, con riferimento alla nozione di atti fraudolenti, non potendosi configurare come "atto fraudolento" rilevante ai sensi dell'art. 11 cit. la mera cessione di un'azienda ad una società interamente partecipata dal cedente, data la "neutralità" della operazione di cessione realizzata e l'impossibilità che la stessa potesse impedire la riscossione dei tributi. Con altra censura si deduceva poi che, in relazione alla determinazione quantitativa del profitto del reato di cui all'art. 11 cit., era errato quanto affermato dal Tribunale del riesame nella parte in cui aveva ritenuto che il profitto "consiste nel valore dei beni idonei a fungere da garanzia nei confronti dell'amministrazione finanziaria che agisce per il recupero delle somme evase", non essendosi il giudice confrontato con l'orientamento in base al quale il profitto deve tener conto dell'entità del debito tributario. In ragione di ciò, secondo il ricorrente, era necessario che il profitto confiscabile fosse contenuto entro il limite del valore del credito dell'Amministrazione finanziaria, chiedendosi quindi, in via subordinata, l'annullamento dell'ordinanza impugnata sotto il profilo della quantificazione del medesimo. La questione In sostanza, la prima censura era incentrata sulla nozione di atto fraudolento, contestandosi che l'operazione di cessione di rami di azienda potesse rientrare in questo ambito, anche considerato che le due società alle quali erano stati ceduti i rami di azienda erano e restavano interamente partecipate dalla stessa cedente, non avendo quindi l'operazione determinato alcuna riduzione del patrimonio e soprattutto non avendo la stessa il contenuto di un artificio, inganno o menzogna. Il punto era fondamentale, dato che, in tema di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, costituisce presupposto per la configurabilità del reato la sussistenza di atti simulati o fraudolenti idonei a rendere, in tutto o in parte, inefficace la procedura di riscossione coattiva, laddove hanno natura fraudolenta anche gli atti dispositivi compiuti dall'obbligato che, diversamente da quelli simulati, determinino il trasferimento effettivo del bene, nel caso in cui risultino connotati da elementi di inganno o di artificio e, quindi, da stratagemmi finalizzati a sottrarre all'esecuzione le garanzie patrimoniali (cfr., Cass., n. 33988 del 16/06/2023). Quanto all'altra censura, il debito tributario dovuto dalla società era nella specie già determinato nel suo ammontare ed era pari, complessivamente, ad Euro 1.688.202,08; a fronte di tale debito, il sequestro aveva avuto ad oggetto un ramo di azienda del valore di Euro 4.800.000,00, nonché due rami di azienda del valore, rispettivamente, di Euro 2.250.000,00 e di Euro 125.000,00, per un valore complessivo di Euro 7.175.000,00. A fronte del debito tributario, ben individuato nel suo ammontare, il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca diretta, aveva quindi interessato beni per un valore di gran lunga superiore, occorrendo allora valutare se tale sproporzione fosse o meno corretta, e quale potesse eventualmente essere l'entità del sequestro e, quindi, le voci che compongono il profitto del reato di cui all'art. 11 D.Lgs. n. 74 del 2000. La soluzione giuridica Secondo la Suprema Corte il ricorso era fondato, nei limiti di seguito indicati. Quanto alla prima censura, la Cassazione rileva che, ai sensi dell'art. 11 D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, gli atti dispositivi oggettivamente idonei ad eludere l'esecuzione esattoriale hanno natura fraudolenta allorquando siano connotati da elementi di artificio, inganno o menzogna tali da rappresentare ai terzi una riduzione del patrimonio non corrispondente al vero, così mettendo a repentaglio o, comunque, rendendo più difficoltosa la procedura di riscossione coattiva. Tanto premesso, la Corte riteneva che, nella specie, nessuna censura potesse essere mossa sul punto all'Ordinanza impugnata, la quale aveva ritenuto l'operazione realizzata integrante il fumus del delitto di cui all'art. 11 D.Lgs. n. 74 del 2000, valorizzando una serie di elementi indicativi della fraudolenza e facendo corretta applicazione dei principi di diritto in tema, posto che se è vero che, in generale ed in astratto, le operazioni di cessione di rami di azienda sono in sè lecite, è anche vero però che le stesse divengono fraudolente laddove siano connotate da elementi di artificio tali da mettere a repentaglio, o rendere comunque più difficoltosa la procedura di riscossione. Diversamente da quanto dedotto, il Tribunale, in sede di riesame, aveva correttamente evidenziato che tutta l'operazione assumeva, nel caso di specie, le connotazioni di atto fraudolento, valorizzando anche la circostanza che la situazione debitoria era a conoscenza degli amministratori di diritto e di fatto delle società coinvolte e che gli stessi avevano realizzato la stessa operazione subito dopo la notifica della comunicazione di irregolarità con la quale l'Agenzia delle Entrate segnalava anomalie relative ai versamenti dell'IVA per il quarto trimestre dell'anno 2018; circostanza, questa significativa non solo della consapevolezza, ma anche della finalità per la quale si era poi proceduto alla cessione. Pertanto, aveva osservato puntualmente il Tribunale nel provvedimento impugnato, la società era consapevole della propria situazione di irregolarità tributaria e del fatto che l'Agenzia delle Entrate stava effettuando accertamenti fiscali; ed infatti, di lì a poco, a fine di sottrarsi al pagamento dell'imposta dovuta, aveva proceduto alla cessione dei rami di azienda, “tenendosi” come debito esclusivo della società il menzionato debito tributario, che si era poi andato incrementando negli anni, e che, guarda caso, non era stato mai trasferito e neppure valutato nelle operazioni straordinarie compiute con le due società controllate, a conferma appunto della richiamata fraudolenza. Concludeva quindi sul punto il Tribunale affermando che, se, come detto, era vero che le cessioni di rami di azienda non potevano considerarsi fraudolente in sé, a renderle fraudolente erano però, nella specie, i dati concretamente emersi ed in particolare il fatto che la cedente si fosse spogliata quasi del tutto di tutti i beni che caratterizzavano il ramo produttivo, così trasformandola in una società di gestione, in contrasto con l'oggetto sociale che la caratterizzava. Inoltre assumeva rilevanza, a dimostrazione della detta fraudolenza, anche il fatto che il conferimento dei rami di azienda non avesse riguardato il debito tributario e il fatto che la cedente aveva poi concesso in affitto il ramo di azienda a società riconducibili agli amministratori di fatto, che facevano peraltro capo tutti alla stessa famiglia. Tanto premesso, secondo la Corte di Cassazione era invece fondato, nei termini di seguito indicati, l'altro motivo di ricorso. Ritiene infatti sul punto la Corte che l'importo del debito tributario era nella specie ben individuato nel suo ammontare, dovendosi dare continuità al principio espresso da Cass., Sez. 3, n. 28725 del 14/06/2024 (cfr., anche Cass., n. 12084 del 26/01/2023), secondo cui il profitto del delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, confiscabile anche per equivalente, va individuato nel valore dei beni idonei a fungere da garanzia nei confronti dell'Amministrazione finanziaria che agisce per il recupero delle somme evase, il cui importo è quantificabile secondo le disposizioni sulla riscossione coattiva dei tributi, applicandosi, quanto ai beni immobili, i parametri di cui all'art. 77, comma 1, D.Lgs. 29 settembre 1973, n. 602, e, quanto ai beni mobili, quelli dell'art. 517, comma 1, cod. proc. civ. In sostanza, rileva la Cassazione, diventa in questi casi essenziale individuare i criteri o comunque i parametri cui fare riferimento per calcolare il valore dei beni, che, come detto, vanno tratti dalle disposizioni che regolano la riscossione coattiva, ed in particolare, quanto ai beni immobili, facendo riferimento, una volta decorso il termine di sessanta giorni dalla notifica della cartella di pagamento, al ruolo, che costituisce titolo per iscrivere ipoteca sugli immobili del debitore e dei coobbligati per un importo pari al doppio dell'importo complessivo del credito per cui si procede; e, quanto ai beni mobili, facendo riferimento alle regole sul pignoramento, che deve essere eseguito sulle cose che l'ufficiale giudiziario ritiene di più facile e pronta liquidazione, nel limite di un presumibile valore di realizzo pari all'importo del credito precettato aumentato della metà. Al fine, dunque, di evitare eccessive divaricazioni tra la misura dell'intervento cautelare reale e l'importo effettivamente assoggettabile alla definitiva ablazione, la misura del sequestro preventivo, anche per equivalente, funzionale alla confisca, va parametrata alla effettiva entità del profitto confiscabile, che deve essere individuato nel valore dei beni idonei a fungere da garanzia nei confronti dell'Amministrazione finanziaria che agisce per il recupero delle somme evase, da calcolarsi secondo i detti parametri e criteri. Conclude sul punto la Cassazione evidenziando che il profitto dell'attività distrattiva dei beni oggetto di possibile apprensione da parte dell'Erario deve comunque essere calcolato con riferimento all'intero debito erariale, comprensivo delle sanzioni collegate e di tutti gli accessori esigibili. Osservazioni Tanto premesso, a prescindere dallo specifico caso processuale, giova evidenziare che oggetto di tutela, in caso di sottrazione fraudolenta, è la necessità di preservare la riscossione del credito erariale da qualsiasi attività volta a depauperare in modo fraudolento tale garanzia. È dunque la natura simulata, ovvero fraudolenta, che qualifica l'azione sotto il profilo della sua offensività, occorrendo, cioè, che, per effetto della condotta, si determini una situazione per cui il bene simulatamente alienato o in relazione al quale sono stati compiuti atti fraudolenti appaia all'Erario effettivamente uscito dal patrimonio del debitore, così da rendere impossibile o comunque più difficile il recupero (cfr., Cass., n. 41721 del 13.11.2024). Nel caso poi, come era anche nel giudizio sopra esaminato, il trasferimento sia effettivo, la relativa condotta non può essere considerata alla stregua di un atto simulato, ma deve essere valutata comunque quale possibile atto fraudolento, dovendosi intendere per tale l'atto idoneo a rappresentare una realtà non corrispondente al vero e a mettere ad ostacolare, l'azione di recupero da parte dell'Erario. In conclusione, la fattispecie criminosa di sottrazione fraudolenta va qualificata come reato di pericolo concreto, integrato dall'uso di atti simulati o fraudolenti per occultare i propri o altrui beni, idonei a pregiudicare, secondo un giudizio ex ante, l'attività recuperatoria della Amministrazione finanziaria. |