L’imposta di donazione sulle “attribuzioni compensative” si calcola alla luce del rapporto di parentela o coniugio tra disponente-imprenditore e legittimario non assegnatario

16 Aprile 2025

L'Agenzia chiarisce che ai fini dell'applicazione dell'imposta di donazione alle "attribuzioni compensative", l'aliquota e la franchigia sono determinate tenendo conto del rapporto di parentela o coniugio tra disponente-imprenditore e legittimario non assegnatario, fermo restando che l'esenzione da imposta di donazione di cui all'art. 3 TUS si applica solo con riguardo al trasferimento dell'azienda o delle partecipazioni societarie dal disponente-imprenditore a favore del discendente-beneficiario e non anche alle attribuzioni "compensative”. 

Premessa

Con la recente risoluzione n. 12 del 14 febbraio 2025 l’Agenzia delle Entrate ha fornito importanti chiarimenti in ordine alla tassazione, ai fini dell’imposta di donazione, delle c.d. “attribuzioni compensative”.

Nello specifico, la risoluzione 12/2025 segue – l’Agenzia lo specifica fin da subito nell’incipit del suo provvedimento – a molteplici richieste di chiarimenti pervenute in ordine alla tassazione delle predette attribuzioni che l’assegnatario dell’azienda o delle partecipazioni societarie è tenuto a liquidare in favore del legittimario non assegnatario. Il fatto che la richiesta di chiarimenti provenisse da più contribuenti non è, peraltro, una circostanza di poco conto in quanto indica che nel corso del tempo diverse sono state le incertezze sorte in ordine alla tassazione delle attribuzioni compensative nell’ ambito dell’imposta sulle successioni o donazioni. Sicché, già soltanto per queste ragioni la risposta dell'Agenzia deve essere accolta con favore in quanto consente di andare oltre le difficoltà interpretative che hanno caratterizzato la materia.

Ma entriamo nel merito delle conclusioni raggiunte dall’Ufficio.

Ebbene, come sopra anticipato, le attribuzioni compensative sono i pagamenti o trasferimenti che un legittimario non assegnatario di un’azienda o di partecipazioni societarie deve ricevere in seguito alla stipulazione di un patto di famiglia.

Si tratta, più nel dettaglio, di quei trasferimenti patrimoniali effettuati per compensare un credito o un debito che, pur avendo una forma simile a una donazione, non sono considerati come tali ai fini tributari, poiché sono effettuati per bilanciare o compensare situazioni preesistenti.  

In termini più concreti, ogniqualvolta un imprenditore decida di trasferire la sua azienda o le sue quote a uno o più discendenti, il legittimario che non riceverà alcuna partecipazione avrà  diritto a una compensazione economica per la parte di eredità che gli spetterebbe. Il soddisfacimento di detto diritto graverà sull’assegnatario dell'azienda o delle partecipazioni, che, dunque, dovrà procedere alla liquidazione, anche in natura, degli altri legittimari (non assegnatari), in ossequio a quanto previsto dall'articolo 768-quater, comma 2, del codice civile, ai sensi del quale “gli assegnatari dell'azienda o delle partecipazioni societarie devono liquidare gli altri partecipanti al contratto, ove questi non vi rinunzino in tutto o in parte, con il pagamento di una somma corrispondente al valore delle quote (…)”.  

In tal senso, le attribuzioni compensative hanno evidentemente uno scopo duplice:

  • tutelare i legittimari non assegnatari, evitando che possano contestare la divisione stabilita nel patto di famiglia;
  • prevenire conflitti tra gli eredi e a garantire un passaggio generazionale sicuro, in cui l’azienda non venga frazionata o dispersa.

Si tratta, dunque, di trasferimenti essenziali per garantire la corretta attuazione del patto di famiglia, in quanto permettono di tutelare gli eredi che non ricevono direttamente l’azienda o le partecipazioni, assicurando loro il valore delle quote non assegnate e garantendo un passaggio generazionale fluido e privo di conflitti.         

Pertanto, stante la natura consustanziale delle attribuzioni compensative al patto di famiglia, occorre prendere le mosse da quest’ultimo istituto e dal suo trattamento tributario per inquadrare correttamente il trattamento tributario delle attribuzioni predette. In tal senso, in linea con il percorso argomentativo sposato dall’Agenzia, è utile soffermarsi sul percorso giurisprudenziale che ha toccato la materia.   Contesto che, come avrà modo di dirsi nel prosieguo, è stato parecchio incerto ed oscillante.

I contrapposti orientamenti della giurisprudenza di legittimità sulla tassazione del patto di famiglia

Orbene, sul punto la Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 32823 del 19 dicembre 2018, aveva stabilito che il patto di famiglia, disciplinato dagli articoli 768-bis e seguenti del Codice civile, si sarebbe dovuto considerare soggetto all'imposta sulle donazioni:

  • sia per il trasferimento dell'azienda o delle partecipazioni societarie dal disponente al discendente;
  • sia per la corresponsione della somma compensativa dovuta dall'assegnatario dell'azienda o delle partecipazioni ai legittimari non assegnatari,

con precisazione che quest'ultima liquidazione, in base all'aliquota e alla franchigia, avrebbe trovato applicazione non tanto in ragione del rapporto tra disponente e assegnatario, quanto alla relazione esistente (o esistita) tra assegnatario e legittimario.

A fronte di questa impostazione, i Giudici di legittimità, con la sentenza n. 29506 del 24 dicembre 2020 – confermata dall'ordinanza della Corte di Cassazione n. 19561 del 17 giugno 2022 e, ancor più recentemente, dalla n. 19627 del 16 luglio 2024 - ha significativamente rivisto il proprio orientamento, chiarendo che l'obbligo di liquidazione, derivante dalla legge e non dal contratto, rappresenta un elemento essenziale del patto di famiglia.          

Sicché tale liquidazione si sarebbe dovuta inquadrare come una liberalità del disponente nei confronti dei legittimari non assegnatari; da ciò sarebbe discesa, come naturale conseguenza, l'applicazione della disciplina fiscale prevista dall'art. 58, primo comma, del D.Lgs. n. 346/1990, art. 58, comma 1, che considera tale liquidazione come una donazione.

Per la conseguenza, secondo la Suprema Corte la liquidazione del conguaglio effettuata dall'assegnatario dell'azienda o delle partecipazioni sociali in favore dei legittimari non assegnatari si sarebbe dovuta qualificare, da un punto di vista tributario, come una donazione del disponente, con conseguente applicazione delle aliquote e delle franchigie previste in base al rapporto di parentela.

Inoltre, l'esenzione prevista dall'art. 3, comma 4-ter, del D.Lgs. n. 346/1990 avrebbe trovato applicazione soltanto al trasferimento dell'azienda o delle partecipazioni al discendente beneficiario, e non anche alle liquidazioni effettuate dall'assegnatario nei confronti degli altri legittimari.

La differenza tra le due chiavi di lettura è evidente.

Nel primo caso la liquidazione compensativa viene considerata una donazione tra l'assegnatario e i legittimari non assegnatari.      Nella seconda ipotesi, la liquidazione è trattata come una donazione del disponente ai legittimari non assegnatari. Di conseguenza, stando al secondo orientamento, la liquidazione delle attribuzioni compensative sarebbe soggetta alle aliquote e franchigie previste per il rapporto di parentela tra il disponente e i legittimari  e non a quelle riguardanti il rapporto tra l'assegnatario e i legittimari.

Il revirement dell'Agenzia delle Entrate

Ciò premesso, con la risoluzione 12/2025 l'Agenzia delle Entrate aderisce chiaramente al secondo, ormai consolidato, orientamento giurisprudenziale di cui si è appena detto.    In particolare, l'Agenzia riconosce l'intervenuto mutamento interpretativo maturato in seno alla Corte di Cassazione, secondo cui l'obbligo di liquidazione nei confronti dei legittimari non assegnatari rappresenta per l'assegnatario un onere, con rilevanza fiscale ai sensi dell'articolo 58, comma 1, del TUSD, ed invita gli Uffici a rivedere i procedimenti in corso, considerando, ai fini dell'applicazione dell'imposta sulle donazioni alle attribuzioni compensative, l'aliquota e la franchigia determinate in base al rapporto tra il disponente e il legittimario non assegnatario del patto di famiglia. Queste conclusioni assumono un valore ancor più importante soprattutto se si considera che le posizioni originariamente condivise dall'Ufficio in ordine alla tassazione delle attribuzioni compensative coincidevano con quelle fatte proprie dall'orientamento giurisprudenziale, il primo, oggi superato sia dall'Agenzia sia dalla Corte di Cassazione medesime.

In particolare, l'agenzia delle Entrate aveva fornito alcune, prime, indicazioni in merito alla tassazione del patto di famiglia con la Circolare n. 3 del 22 gennaio 2008 e la n. 18 del 29 maggio 2013.

In detta sede, l'Amministrazione aveva chiarito che:

  • Le attribuzioni compensative dovessero essere assoggettate al regime ordinario dell'imposta di donazione, con la precisazione che l'agenzia delle Entrate applicava a tali attribuzioni compensative l'aliquota del 6% e la franchigia di 100.000 euro, ritenendo che fossero erogazioni effettuate dal legittimario assegnatario nei confronti dei legittimari non assegnatari.          

Pertanto, come già evidenziato dalla letteratura specializzata di settore, veniva applicato il regime fiscale più oneroso, in quanto l'aliquota era del 6%, e non del 4%, ma soprattutto la franchigia era di 100.000 euro, e non di 1.000.000 di euro.

Oggi l'Agenzia delle Entrate, con la risoluzione n. 12/2025, torna sui suoi passi; si abbandona il criterio di tassazione “più oneroso” previsto in origine, per abbracciare una modalità di determinazione dell'imposta sulle donazioni non aprioristico ma strettamente ancorato agli scaglioni ed alle aliquote differenziate in base al grado di parentela o coniugio.  Pertanto, in concreto, il calcolo dell'imposta dipenderà dall'importo della liquidazione compensativa (somma che l'assegnatario deve versare al legittimario non assegnatario), dalla franchigia applicabile e dall'aliquota determinata in base al grado di parentela.

Nel caso in cui l'importo della liquidazione supererà la franchigia prevista, troverà applicazione l'aliquota corrispondente al grado di parentela o coniugio tra il disponente e il legittimario.

In conclusione

Ai fini fiscali, pertanto, la liquidazione compensativa viene considerata come una liberalità dell'imprenditore nei confronti dei non assegnatari, con riflessi in termini di aliquote e franchigie applicabili che saranno determinate sulla base del rapporto di parentela esistente, non tra l'assegnatario e il non assegnatario, ma tra l'imprenditore e il non assegnatario.

In questo contesto, la risoluzione n. 12 del 2025 dell'Agenzia delle Entrate rappresenta un significativo passo avanti nel modo d'intendere – sotto il profilo tributario - le attribuzioni compensative; se non altro perché si dissipano (e, verrebbe da dire, “finalmente”) i dubbi interpretativi succedutisi, rispetto al tema che ci occupa, nel corso del tempo.

Aderendo al secondo orientamento giurisprudenziale, ormai consolidato, che qualifica la liquidazione compensativa come un atto di liberalità del disponente verso i legittimari non assegnatari, si garantisce una più puntuale applicazione dell'imposta sulle donazioni. In detto scenario, la definizione delle aliquote e delle franchigie fondata sul grado di parentela tra il disponente e il legittimario non assegnatario, anziché tra assegnatario e legittimario, conduce evidentemente ad un trattamento fiscale più vantaggioso rispetto al regime precedentemente in vigore.

Si definisce, dunque, un meccanismo di funzionamento dell'imposta di donazione più “razionale” e prevedibile, che permette una pianificazione ereditaria più accurata e in linea con la normativa corrente.

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