Uso illegittimo della cosa comune per tubature installate nel muro interno alla scala condominiale

10 Aprile 2025

In un condominio, una società, proprietaria di un appartamento, nell'effettuare dei lavori di ristrutturazione, installava delle tubature del gas nella scala interna condominiale. Alle lamentele degli altri condomini, la società rispondeva comunicando di avere effettuato un intervento legittimo, in quanto consistente in un uso più intenso di un bene comune. Per il condominio, invece, tali tubature erano state illegittimamente istallate e dovevano essere rimosse.

Massima

In tema di condominio, l'installazione da parte di un singolo condomino, senza autorizzazione assembleare, di tubature del gas sul muro della scala condominiale interna costituisce una innovazione vietata ai sensi dell'art. 1120 c.c., in quanto questa viola i diritti degli altri condomini alterando la destinazione del bene comune e ledendo il decoro architettonico dello stabile. Tale operazione non è neanche considerabile un uso più intenso della cosa comune, consentito dall'art. 1102 c.c., in quanto questo presuppone l'assenza della modifica della destinazione della res e il rispetto del godimento anche solo potenziale degli altri condomini.

Il caso

Al termine dei lavori di ristrutturazione del proprio appartamento, una società aveva proceduto all'istallazione di tubature del gas apponendo le stesse sul muro interno della scala condominiale.

L'operazione era stata svolta autonomamente dalla proprietaria, senza alcuna autorizzazione assembleare e con la sola autorizzazione della Pubblica Amministrazione all'istallazione sulla facciata esterna dello stabile.

Tale istallazione era decisamente contestata dai condomini e dall'amministratore, che agivano in giudizio per ottenere la rimozione dei manufatti e il risarcimento del danno.

Si costituiva in giudizio la società proprietaria, avanzando due difese giuridiche.

In primo luogo, in punto di rito, la proprietà affermava di non avere legittimazione passiva nel giudizio e quindi, in buona sostanza, come il condominio avesse errato a convenire in giudizio la stessa.

A detta della proprietaria, infatti, al fine di contestare il danno affermato, il condominio avrebbe dovuto agire contro la società che aveva materialmente istallato le tubazioni, e non invece contro la proprietaria, che era mera committente dei lavori.

In seconda battuta, nel merito, la condomina difendeva la validità del proprio operato.

Essa, ammettendo di avere agito autonomamente e senza consultare l'assemblea condominiale, affermava come l'istallazione fosse un'opera del tutto consentita.

A giustificare l'opera, infatti, vi sarebbero stati i precetti dell'art. 1102 c.c.

La citata norma, infatti, afferma: “1. Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa. 2. Il partecipante non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri partecipanti, se non compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso”.

L'istallazione, quindi, sarebbe stata un normale “uso più intenso della cosa comune”, del tutto consentito, a patto del rispetto dei diritti degli altri condomini e del divieto di mutazione di destinazione del bene comune.

A detta del condominio, invece, tale ricostruzione sarebbe stata del tutto scorretta in quanto afferente non tanto all'uso della cosa comune, quanto ad una violazione della disciplina delle innovazioni, per le ragioni che verranno analizzate nel paragrafo 4.

La questione

Lo stesso intervento edilizio può essere letto in due modi molto differenti.

Se da un lato, come nel nostro caso, il proprietario afferma di avere legittimamente istallato le tubazioni, facendo uso più intenso della cosa comune come consentito dall'art. 1102 c.c., occorre altresì valutare la normativa relativa alle innovazioni in condominio.

Tale disciplina è trattata dall'art. 1120 c.c., nel quale si determinano le modalità per realizzare legittimamente delle innovazioni sulle parti condominiali, quali siano le maggioranze assembleari necessarie e quali siano i limiti a tali operazioni.

La legge dispone, infatti, che “I condomini, con la maggioranza indicata dal quinto comma dell'art. 1136, possono disporre tutte le innovazioni dirette al miglioramento o all'uso più comodo o al maggior rendimento delle cose comuni. [OMISSIS] Sono vietate le innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, che ne alterino il decoro architettonico o che rendano talune parti comuni dell'edificio inservibili all'uso o al godimento anche di un solo condomino”.

Laddove si realizzando degli interventi che coinvolgano le parti comuni di uno stabile, quindi, occorre interrogarsi se si stia superando il limite dell'uso consentito della cosa comune o se, come nel presente caso, la realizzazione di interventi non autorizzati non possa essere consentita in quanto sia lesiva del decoro architettonico dello stabile, sia in violazione dei diritti di godimento degli altri condomini.

Le soluzioni giuridiche

Con la sentenza in commento, il Tribunale di Milano accoglieva le ragioni dell'attore.

In primo luogo, con riguardo all'eccezione di rito relativa alla presunta carenza della legittimazione passiva, per non avere realizzato in prima persona gli interventi edilizi, il giudice rigettava tale interpretazione.

A detta del decidente, infatti, ai sensi dell'art. 2051 c.c. il proprietario dell'immobile, per di più committente delle opere, ha una presunzione di colpa rispetto ai danni cagionati dalle cose in sua custodia.

Egli ha, quindi, l'onere di vigilare anche sulle opere edili realizzate da appaltatori e sottoposti, con l'esito di essere stata correttamente evocata in giudizio dal condominio attore.

Con riguardo al merito, parimenti, il giudice accoglieva la domanda del condominio e rigettava l'interpretazione giuridica della società proprietaria.

Il giudice, in primis, citava un orientamento consolidato della Cassazione che affermava che l'istallazione di impianti destinati ad uso esclusivo di un appartamento, per essere legittima, esige il rispetto delle regole dettate dall'art. 1102 c.c. e quindi il divieto di alterazione della destinazione del bene comune e il rispetto del diritto di fare pari uso degli altri proprietari (Cass. civ., sez. II, 1° aprile 2003, n. 4900).

La Cassazione, su questo ultimo punto, specificava come non fosse necessario tutelare il diritto ad un uso effettivo, che sarebbe quasi sempre reso impossibile dagli spazi limitati offerti dalle cose comuni, ma un diritto di uso potenziale.

In pratica, quindi, l'intervento sarà considerato consentito quanto non impedisca del tutto agli altri di fare un paritetico uso della cosa comune e sia ragionevole nella sua realizzazione (v. anche Cass. civ., sez. II, 16 aprile 2018, n. 9278; Cass. civ., sez. VI/II, 23 giugno 2014).

E' compito del giudice di merito verificare se l'utilizzo della cosa comune effettuato dalle parti in causa rispetti tali limiti o sia, invece, illegittimo, costituendo i limiti - sostanzialmente - il divieto di alterazione della destinazione della cosa comune e l'obbligo di consentire un uso paritetico agli altri condomini (come affermato da Cass. civ., sez. II, 9 giugno 2010, n.13874).

Esiste un altro tema discusso nella decisione in commento.

Occorre, infatti, valutare, per tutti gli interventi che riguardano le parti comuni, che ai sensi dell'art. 1120 c.c., laddove vi sia un mutamento di destinazione, non solo si ha una situazione di uso illegittimo della cosa comune ai sensi dell'art. 1102 c.c., ma anche ad una innovazione vietata in quanto effettuata senza l'autorizzazione del condominio (e con le vaste maggioranze rese necessarie dall'art. 1120 c.c.).

Nel caso in questione, il giudice valutava come del tutto illegittima l'istallazione delle tubature del gas da parte della società convenuta.

Essa, in applicazione delle sopra riportate discipline, non appare come un uso più intenso della cosa comune, in quanto costituisce una mutazione di destinazione del muro delle scale e una violazione del decoro architettonico dello stabile,essendo l'unica tubatura del condominio a percorrere tutta la scala interna a bella vista.

Veniva, quindi, del tutto impedito un uso paritetico degli altri condomini e vi era una sostanziale modifica di destinazione dello spazio interno della scala.

L'opera, inoltre, non era stata autorizzata in alcun modo dall'assemblea condominiale ai sensi dell'art. 1120 c.c.

Infine, questa opera costituiva una innovazione vietata in quanto - ex art. 1120 comma III c.c. - in violazione del divieto di innovazioni che costituiscono un pregiudizio per la stabilità e salubrità dello stabile.

In ragione di tali valutazioni il giudice accoglieva la domanda del condominio e condannava la società convenuta alla rimozione della tubazione del gas a propria cura e spese, oltre al rimborso delle spese legaliall'attore.

Osservazioni

La sentenza in commento appare corretta e ben esposta.

Molto importante appare il rilievo della differenzatra la normativa relativa all'uso più intenso della cosa comune, che consente comunque un uso del bene condominiale al singolo senza alcuna autorizzazione del palazzo (si pensi all'istallazione del condizionatore sulla facciata del condominio), dalla disciplina delle innovazioni.

Quest'ultima normativa, molto stringente, prevede dei divieti alle innovazioni consentite (v. supra) e, soprattutto, non è a libera iniziativa del privato, ma frutto di una decisione presa da una maggioranza assembleare qualificata.

Correttamente, il giudice spiega le due discipline e illustra i motivi per cui, sia nei confronti della prima che della seconda, l'operazione effettuata dalla condomina non era consentita.

Unico neo di una sentenza - come detto, molto corretta - è che sarebbe parso legittimo e appropriato effettuare una valutazione anche sul fatto che gli interventi edilizi realizzati dalla parte convenuta costituivano una violazione dei diritti di godimento degli altri condomini non tanto in quanto anche essi avrebbero potuto potenzialmente realizzare le stesse opere, quanto nell'importanza di tutelare il diritto di tutti i condomini a non vedere interventi che compromettendo l'estetica condominiale, comportino un vulnus per il buon vivere nel condominio.

Se il decoro architettonico rappresenta uno standard oggettivo, delineato dalla necessità del rispetto delle strutture, della forma e dei colori dello stabile, il “benessere individuale del condomino” ne costituisce la manifestazione soggettiva.

Per dirlo in altre parole, si propone una sfumatura ulteriore rispetto al mero concetto di decoro architettonico, categorizzazione fredda e edilizia, per introdurre il concetto di “benessere individuale del condomino” ossia la necessità di tutelare tutte quelle caratteristiche che rendono vivibile lo stabile, come la pulizia, l'assenza di degrado, manufatti abusivi o di condotte lesive dell'estetica del condominio.

A tutti fa piacere vivere in un contesto dignitoso, pulito ed esteticamente bello ed è importante che i giudici, con sentenze ben scritte come quella in commento, stabiliscano precise regole per evitare il lassismo nel condominio.

Riferimenti

Celeste, Le facciate degli edifici tra esigenze di pubblicità, problemi di sicurezza e rispetto del decoro, in Riv. giur. edil., 2003, fasc. 4, 167;

Frugoni, Il condomino può installare tettoie nel giardino di sua proprietà esclusiva che si appoggino al muro comune perimetrale?, in IUS-Condominioelocazione, 10 luglio 2023;

Mascia, È legittima la collocazione di sedie e tavolini del bar in area condominiale?, in IUS-Condominioelocazione, 6 dicembre 2023;

Tarantino, L'appoggio di una canna fumaria sulla facciata comune è illegittimo se deturpa l'architettura del fabbricato, in Dir. & giust., 2020, fasc. 220, 7;

Valentino, Il condomino non può pretendere che il condominio compia interventi utili a rendere allo stesso un uso migliore delle parti comuni, in IUS Condominioelocazione, 12 aprile 2021.

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