Revocatoria della scissione e competenza delle sezioni specializzate (con una, rilevante, eccezione)

Alessandro Simionato
08 Aprile 2025

Le Sezioni Unite della Cassazione risolvono la questione relativa alla competenza a giudicare sull'azione revocatoria di un atto di scissione societaria.

Massima

L'azione revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c. dell'atto di scissione societaria, diretta alla declaratoria di inopponibilità del negozio al creditore, è devoluta alla competenza della sezione specializzata in materia di impresa, poiché, pur non introducendo una controversia relativa a rapporti tra società, soci e organi sociali, e pur non risultando diretta ad incidere, come l'opposizione ex artt. 2506-ter, 2503 e 2503-bis c.c., sulla scissione, privandola di efficacia erga omnes, investe un tipico atto dell'organizzazione societaria, che, in quanto produttivo di un pregiudizio per la garanzia patrimoniale del creditore e in quanto posto in essere in presenza delle condizioni soggettive previste alternativamente dal comma 1, nn. 1 e 2, del citato art. 2901 c.c., entra a far parte della causa petendi dell'azione proposta, qualificando il corrispondente giudizio come relativo a un rapporto societario.

L'azione revocatoria ex art. 66 l.fall. dell'atto di scissione societaria è devoluta alla competenza del tribunale fallimentare, la quale prevale su quella del tribunale delle imprese.

Il caso

Le sezioni unite sono state chiamate a dirimere un regolamento di competenza promosso d'ufficio dal Tribunale di Bologna: il Tribunale di Parma si era dichiarato incompetente per materia in ordine alle domande di revocatoria di alcuni atti di scissione e dei relativi conferimenti proposte da diverse curatele fallimentari ed aveva conseguentemente rimesso le parti avanti al Tribunale di Bologna, sezione specializzata in materia di impresa. Il Tribunale di Bologna aveva ritenuto, però, che la competenza a decidere in merito all'azione revocatoria dell'atto di scissione societaria non spettasse in via funzionale ed inderogabile alla sezione specializzata in materia di impresa, ma dovesse essere individuata, per materia e territorio, in capo al Tribunale di Parma originariamente adito e promuoveva perciò d'ufficio il predetto regolamento. La prima sezione civile della Cassazione mostrava adesione per l'orientamento del Tribunale di Bologna, ma riteneva necessario l'intervento delle sezioni unite per poter addivenire ad un orientamento uniforme in presenza di precedenti discordanti.

Le questioni giuridiche

Il problema della competenza a giudicare sull'azione revocatoria dell'atto di scissione societaria è divenuto di concreto interesse pratico a seguito del consolidarsi dell'orientamento favorevole all'esperibilità del rimedio (si veda, in particolare, Cass. 4 dicembre 2019, n. 31654, alla quale hanno fatto seguito altre pronunce in senso conforme: Cass. 29 gennaio 2021, n. 2153, in Giur. Comm., 2022, II, 1334 con nota di L. Archinvolti; Cass. 6 maggio 2021, n. 12047; Cass. 14 ottobre 2022, n. 30184). Il tema in precedenza era stato a lungo dibattuto, in dottrina e in giurisprudenza, ritenendosi potenzialmente ostativi all'ammissibilità dell'azione revocatoria sia la natura composita della scissione – trattandosi di un'operazione che non esaurisce i suoi effetti sul piano traslativo, ma è anche e soprattutto un atto di riorganizzazione societaria – sia l'esistenza di un rimedio tipico a presidio dei creditori potenzialmente pregiudicati dalla scissione stessa (l'opposizione dei creditori ex art. 2503 c.c., espressamente richiamato dall'art. 2506-ter, comma 5, c.c.); ulteriore ostacolo all'ammissibilità del rimedio frequentemente addotto era il principio di irretrattabilità della scissione di cui all'art. 2504-quater c.c., anch'esso richiamato dall'art. 2506-ter, comma 5, c.c. (per una breve rassegna degli orientamenti favorevoli e contrari, in dottrina e in giurisprudenza, cfr. A. Simionato, Revocatoria degli atti di scissione e competenza delle Sezioni Specializzate, in questo portale).

La giurisprudenza sul tema della competenza a giudicare sull'azione è, quindi, relativamente recente e sin qui parimenti divisa. Cass. 5 febbraio 2020, n. 2754, a cui si è conformata la successiva Cass. 5 dicembre 2022, n. 35590, ha ritenuto sussistente la competenza delle sezioni specializzate, principalmente sulla base della considerazione per cui l'azione revocatoria della scissione è diretta ad accertare, anche se con effetti soltanto verso il creditore che la esercita, un fenomeno di modificazione ed estinzione dell'assetto delle società coinvolte. L'ordinanza di rimessione alle sezioni unite (Cass. 8 agosto 2023, n. 24237), preceduta da altre pronunce di merito (Trib. Napoli Nord 24 luglio 2017, in ilcaso.it; Trib. Napoli 16 novembre 2020, in ilcaso.it; Trib. Bologna 18 ottobre 2022) ha dubitato di tale conclusione, valorizzando, in particolare, l'argomento per cui l'esperimento dell'azione revocatoria ordinaria o fallimentare di un atto di scissione societaria non rimette in discussione né tra le società coinvolte, né tra quella debitrice ed il suo creditore attore, l'esistenza, la validità e gli effetti propriamente costitutivi, modificativi o organizzativi direttamente discendenti dal negozio impugnato, avendo il giudizio ad oggetto unicamente l'inefficacia relativa dell'atto di scissione, e, quindi, la sola sua giuridica inopponibilità rispetto ad un terzo; il diverso orientamento interpretativo risulterebbe, inoltre, contraddittorio nella parte in cui estende la competenza della sezione specializzata all'azione revocatoria di un atto di scissione societaria, ma non anche all'azione revocatoria della cessione di quote societarie, benché anche tale atto sia suscettibile di determinare implicazioni e conseguenze sull'assetto e sulla composizione della società (la competenza delle sezioni specializzate sulle azioni revocatorie di atti di trasferimento di quote societarie è, infatti, costantemente esclusa: cfr. Cass. 8 maggio 2020, n. 8661).

Osservazioni

Il percorso argomentativo della sentenza in commento è estremamente lineare e si confronta apertamente con questi argomenti, muovendo dalla disciplina contenuta nel d.lgs. n. 168/2003, come modificato dal d.l. n. 1/2012, con cui il legislatore ha ampliato la competenza delle sezioni specializzate in materia di proprietà industriale e intellettuale, nel dichiarato obiettivo di “ridurre i tempi di definizione delle controversie in cui è parte una società di medio/grandi dimensioni, aumentando in tal modo la competitività di tali imprese sul mercato”, individuando nella specializzazione del giudice lo strumento per raggiungere tale obiettivo.

La norma in esame (art. 3, comma 2, lett. a), d.lgs. n. 168/2003) perimetra la competenza avendo riguardo alle “cause” e ai “procedimenti” (intendendo ricomprendere, quindi, sia i procedimenti contenziosi che quelli di volontaria giurisdizione) che sono “relativi ai rapporti societari”: espressione, questa, di significato oggettivamente ampio, che manifesta l'intenzione del legislatore di lasciare all'interprete il compito di meglio specificarne il contenuto. La società commerciale può, infatti, venire in considerazione sia come organizzazione dell'impresa costituita in forma associativa, sia come soggetto imprenditore che intrattiene relazioni giuridiche con altri soggetti; i rapporti sociali evocati dalla lett. a) dell'art. 3, comma 2, d.lgs. n. 168/2003 sono solo quelli “interni”, riferibili alla società intesa come “organizzazione” (appare chiaro in questo senso il riferimento esplicito ai rapporti, “concernenti l'accertamento, la costituzione, la modificazione o l'estinzione” del rapporto societario). Ciò implica che parti dei relativi giudizi siano anzitutto la società, i suoi organi e i soci. In linea di principio, però, possono rivestire la qualità di parte in questi giudizi anche i terzi: si pensi, sempre per stare alle esemplificazioni contenute nella norma appena citata, alle azioni di responsabilità “da chiunque promosse” nei confronti degli organi sociali e alle varie opposizioni proponibili dai creditori sociali e dagli obbligazionisti. Mentre, però, in quest'ultimo caso la competenza si spiega in quanto col vittorioso esito delle opposizioni le delibere di riduzione del capitale sociale, di revoca dello stato di liquidazione, di fusione e di scissione della società, che programmano un mutamento di assetto dell'ente, sono private di effetti erga omnes (e, quindi, incidono direttamente sull'assetto della società intesa come organizzazione), nel caso delle azioni di responsabilità contro gli amministratori, i sindaci e gli altri soggetti indicati dalla norma il fondamento è diverso.

Con riguardo, in particolare, alle azioni di responsabilità esercitate dai creditori sociali e dei terzi, che hanno natura extracontrattuale e che, come tali, non potrebbero certamente farsi rientrare tra le azioni relative ai “rapporti societari”, è piuttosto l'inosservanza degli obblighi legali e statutari da parte degli amministratori ad assumere rilievo qualificante ai fini dell'individuazione della competenza; per usare le parole della S.C., ciò che in questi casi radica la competenza è, propriamente, la causa petendi dell'azione, in cui confluisce l'elemento di diritto (art. 163, n. 4, c.p.c.) che nella fattispecie dell'azione di responsabilità intentata dal terzo è rappresentato dall'antigiuridicità (oltre che dalla dannosità) della condotta dell'organo gestorio rispetto ai doveri dettati dalla legge o dallo statuto.

La soluzione al problema dell'individuazione della competenza in materia di revocatoria della scissione è offerta dalle sezioni unite seguendo il medesimo tracciato argomentativo: l'azione revocatoria della scissione esercitata dal creditore, al pari dell'azione di responsabilità esercitata dai creditori nei confronti degli amministratori, non incide direttamente sull'organizzazione societaria (questa è, invece, come visto, una caratteristica dell'opposizione ex artt. 2503 e 2506-ter c.c.) e non è perciò idonea a porre in discussione l'assetto determinato dalla scissione: ciò però non basta a sottrarre l'azione revocatoria della scissione alla competenza del tribunale delle imprese, proprio perché, come per l'azione di responsabilità, per i rapporti che non sono interni alla società e che coinvolgono i terzi la competenza può alternativamente ricavarsi dalla causa petendi della domanda proposta. Ad assumere rilievo determinante è la specifica connotazione di un fatto o di un atto giuridico, quale fatto o atto endosocietario: nel caso delle azioni di responsabilità la condotta dell'organo gestorio rileva come illecito aquiliano; nel caso dell'azione revocatoria dell'atto di scissione, quest'ultimo rileva per il pregiudizio che arreca alla garanzia patrimoniale del creditore, nel concorso delle condizioni soggettive richieste. La competenza del tribunale delle imprese va, quindi, affermata in ragione di questa connotazione sostanziale della pretesa azionata, che indirizza la causa verso un accertamento che investe l'atto di scissione, quale atto endosocietario, seppure soltanto nella specifica prospettiva dell'azione proposta.

Tutto chiarito quindi? Non proprio. La pratica insegna, infatti, che l'azione revocatoria ordinaria della scissione viene frequentemente proposta dal curatore (così, ad esempio, nella concreta fattispecie in esame), oggi ai sensi dell'art. 165 CCII (che ripropone senza modifiche il testo del previgente art. 66 l.fall.). Pur non essendo un'azione che deriva dal fallimento ex art. 24 l.fall. (oggi art. 32 CCII), si tratta di un'azione espressamente devoluta alla competenza del tribunale che ha aperto la procedura (art. 165 comma 2 CCII). In questo caso si pone, quindi, nuovamente l'alternativa tra due competenze almeno astrattamente concorrenti: quella della sezione specializzata in materia di impresa e quella del tribunale “fallimentare”.

L'azione di cui all'art. 66 l.fall. (oggi 165 CCII) si differenzia dall'azione di cui all'art. 2901 c.c. non per i requisiti sostanziali, ma per gli effetti: nel caso dell'azione proposta dal curatore, che agisce nell'interesse della massa, infatti, l'accoglimento della domanda da parte del giudice comporta che il bene oggetto dell'atto dispositivo non sarà destinato a soddisfare il creditore singolo, ma appunto l'intera massa dei creditori, cosicché quel bene dev'essere appreso a fini esecutivi dal curatore ed il singolo creditore potrà fruire del ricavato dell'esecuzione secondo le regole del concorso (cfr. Cass. S.U., 17 dicembre 2008, n. 29420).

Le sezioni unite ritengono che la competenza devoluta dall'art. 165 comma 2 CCII al tribunale che ha aperto la procedura sia inderogabile, principalmente perché si tratta di un'azione i cui effetti – comportando, come detto, il recupero all'attivo del bene oggetto dell'atto dispositivo – incidono direttamente sulla procedura, al pari delle azioni che derivano direttamente dal fallimento (oggi dall'apertura della liquidazione), della cui natura inderogabile non si dubita, ma anche perché, diversamente, verrebbe frustrata la finalità della norma (art. 165 comma 2 CCII), che mira ad assicurare la concentrazione della trattazione delle azioni revocatorie ordinarie e di quelle che sorgono per effetto dell'apertura della procedura (consentendo, in particolare, che le due azioni possano essere proposte congiuntamente nello stesso giudizio, l'una in via subordinata rispetto all'altra).

La competenza inderogabile del tribunale che ha aperto la procedura prevale su tutte le altre competenze confliggenti (analogamente a quanto avviene per la competenza in materia locatizia di cui agli artt. 21 e 447-bis c.p.c.: cfr. Cass. 30 agosto 2004, n. 17440 e Cass. 20 luglio 2004, n. 13496) e, quindi, anche su quella del tribunale delle imprese.

Conclusioni

L'assegnazione della competenza a decidere sulla revocatoria ordinaria della scissione alle sezioni specializzate in materia di impresa merita piena adesione, poiché consente di beneficiare delle (almeno auspicate) competenze specialistiche dei magistrati destinati alla sezione, indispensabili per l'esame delle complesse questioni, non solo giuridiche, ma anche economiche e finanziarie, che normalmente sono connesse alla verifica della natura gratuita o onerosa della scissione, ma soprattutto dell'elemento oggettivo dell'azione, che implica inevitabilmente un raffronto, che può risultare anche articolato e complesso, tra i valori patrimoniali attivi e passivi oggetto dell'operazione.

Questa finalità rischia, tuttavia, di essere frustrata – in ragione del secondo approdo della pronuncia, che prevede che tale competenza debba cedere a quella del tribunale che ha dichiarato l'apertura della procedura concorsuale – nel caso in cui l'azione sia esercitata dal curatore, benché la cennata complessità non venga certamente meno in ragione della natura del soggetto che agisce in giudizio (il curatore, anziché il singolo creditore), né in ragione degli effetti dell'azione.

Resta da chiedersi, in conclusione, che cosa accada nel caso di azione revocatoria ordinaria della scissione esercitata dal curatore (oggi ex art. 165 CCII), nell'eventualità in cui il tribunale che ha aperto la liquidazione giudiziale sia anche sede di sezione specializzata in materia di impresa: pur non trattandosi in questo caso di questione di competenza, ma soltanto di ripartizione degli affari interni del medesimo ufficio giudiziario (Cass. s.u. 23 luglio 2019, n. 19882), in ragione di quanto esposto in ordine alle finalità della norma l'unica soluzione plausibile risulta quella per cui la decisione della controversia debba in ogni caso essere affidata alla sezione specializzata in materia di impresa e non alla sezione ordinaria (o ‘fallimentare', ove esistente nel medesimo tribunale).

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