Il Tribunale Ordinario di Genova solleva una questione di legittimità costituzionale in relazione al termine di dieci giorni entro il quale l'attore, a norma di quanto prevede l'art. 473-bis.17, comma 1, c.p.c., è chiamato, a pena di decadenza, a prendere posizione e proporre domande ed eccezioni che siano conseguenza della domanda riconvenzionale e formulare le relative istanze di prova, rilevando come tale esiguo termine «non consente un effettivo esercizio del diritto di difesa e quindi dei sottostanti diritti soggettivi che si intendono far valere».
Secondo la tesi sostenuta dal provvedimento in commento, il termine di dieci giorni entro il quale l'attore deve replicare alla domanda riconvenzionale formulata da parte convenuta non consentirebbe una piena esplicazione del diritto di difesa di cui all'art. 24 Cost. e del principio del contraddittorio sancito dall'art. 111 Cost.
In particolare, i giudici genovesi ritengono che l'ammissibilità della domanda riconvenzionale di divorzio nelle procedure di modifica delle condizioni di separazione si scontri «con regole processuali che ne potrebbero compromettere una piena cognizione».
Infatti, «mentre il convenuto a fronte della notifica del ricorso ha a disposizione almeno 30 giorni per impostare la difesa e formulare le sue eccezioni e domande riconvenzionali, l'attore deve prendere posizione sulle domande e difese avversarie, modificare le proprie domande, formulare le eventuali eccezioni e domande nuove che sono la conseguenza delle domande avversarie e i relativi mezzi di prova, entro l'esiguo termine di 10 giorni», nonostante il «sensibile ampliamento del thema decidendum per via delle domande riconvenzionali introdotte dal convenuto, ipotesi tutt'altro che rara nei giudizi di famiglia».
L'incompatibilità costituzionale del termine fissato dall'art. 473-bis.17, comma 1, c.p.c. emerge anche considerando che «se il convenuto invece di introdurre la domanda di divorzio in via riconvenzionale nel procedimento di modifica delle condizioni di separazione promosso dall'attrice, avesse instaurato autonomo giudizio per la declaratoria di scioglimento del vincolo (come accadeva prima della Riforma Cartabia per incompatibilità dei due riti), quest'ultima avrebbe avuto un congruo termine di 30 giorni dalla notifica del ricorso per organizzare la sua difesa e prendere posizione su tutte le condizioni di divorzio».
Il termine di cui all'art. 473-bis.17, comma 1, c.p.c., secondo le prospettazioni genovesi, deve essere considerato «assolutamente incongruo» anche perché il nostro ordinamento processuale non impone alle parti tempistiche analoghe e così stringenti. In particolare, l'ordinanza in commento rileva che nel procedimento ordinario di cognizione l'attore dispone di trenta giorni – peraltro prorogabili in caso di differimento dell'udienza indicata nell'atto di citazione da parte del giudice istruttore ai sensi di quanto dispone l'art. 171-bis c.p.c. – per adeguare le proprie difese rispetto alla eventuale domanda riconvenzionale avversaria; nel rito ordinario semplificato il convenuto, alla luce di quanto prevede l'art. 281-duodecies c.p.c., deve costituirsi entro dieci giorni prima dell'udienza fissata dal giudice e, in caso di domanda riconvenzionale, l'attore può chiedere un termine perentorio non superiore a venti giorni per precisare e modificare le domande, le eccezioni e le conclusioni, per indicare i mezzi di prova e produrre documenti, ed un ulteriore termine non superiore a dieci giorni per replicare e dedurre prova contraria, disponendo così complessivamente di un periodo di trenta giorni per poter riorganizzare la propria difesa e, da ultimo, nel rito lavoro, il convenuto ex art. 418 c.p.c. che abbia proposto domanda riconvenzionale deve chiedere al giudice, a pena di decadenza, la fissazione di una nuova udienza e tra la proposizione della domanda riconvenzionale e l'udienza di discussione non devono decorrere più di cinquanta giorni.
L'analisi del sistema processuale nel suo complesso induce il giudice genovese a ritenere che l'art. 473-bis.17, comma 1, c.p.c. costituisca «un caso isolato di irragionevole compressione dei termini di difesa in violazione dei principi costituzionali di cui agli artt. 24 e 111 Cost.».
Infine, il Tribunale di Genova ritiene che il vulnus costituzionale non possa essere sanato neppure attraverso una interpretazione costituzionalmente orientata della norma posto che, da un lato, i termini di cui all'art. 473-bis.17 c.p.c. sono da considerarsi come perentori e, dall'altro lato, non può trovare applicazione l'art. 153, comma 2, c.p.c. posto che la remissione della parte in termini «introdurrebbe necessariamente un meccanismo di slittamento automatico della prima udienza con conseguente concessione ex novo di tutti i termini ex art. 473-bis.17 c.p.c. non previsto dal legislatore».
Alla luce di tali considerazioni, il Tribunale Ordinario di Genova, ritenuta la questione rilevante ai fini della decisione e non manifestamente infondata, solleva questione di legittimità costituzionale dell'art. 473-bis.17, comma 1, c.p.c., rimettendo gli atti alla Corte Costituzionale e sospendendo il procedimento.
Il provvedimento in commento appare di sicuro interesse nella misura in cui affronta il tema della ragionevolezza della durata dei termini concessi alle parti per poter articolare le proprie difese nella fase introduttiva del rito unitario in materia familiare.
Il punto di partenza della riflessione deve essere ricercato nell'approccio costituzionale allo studio dei termini processuali.
Secondo la Corte Costituzionale la previsione di termini perentori – come quelli previsti dall'art. 473-bis.17 c.p.c. – risulta essere pienamente legittima (cfr. C. Cost., 26 giugno 1973, n. 106; C. Cost., 15 novembre 2004, n. 350 e C. Cost., 28 settembre 2005, n. 382) e l'ampiezza del termine concesso incide sul rispetto del diritto di difesa, costituzionalmente tutelato e garantito dall'art. 24 Cost.
Infatti, la Consulta – con molteplici pronunzie che hanno trasversalmente attraversato il nostro ordinamento – ha chiarito che termini eccessivamente brevi vulnerano l'art. 24 Cost. nella misura in cui la brevità cronologica è in grado di comprimere ingiustificatamente il diritto di difesa, impedendo alla parte soggetta a questo termine di poter compiutamente esprimere il proprio diritto di difendersi. Il difetto di congruità del termine, rilevante sul piano della violazione dell'art. 24, comma 1, Cost., si ha solo qualora esso, per la sua durata, risulti inidoneo a rendere effettiva la possibilità di esercizio del diritto cui si riferisce e, di conseguenza, tale da rendere inoperante o carente la tutela accordata al cittadino (cfr. C. Cost., 10 gennaio 2023, n. 18; C. Cost., 22 febbraio 2017, n. 94; C. Cost., 10 febbraio 2016, n. 44; C. Cost., 24 gennaio 2011, n. 30; C. Cost., 5 marzo 1981, n. 42; C. Cost., 15 giugno 1979, n. 56; C. Cost., 4 giugno 1975, n. 138; C. Cost., 9 luglio 1974, n. 234; C. Cost., 21 febbraio 1974, n. 46; C. Cost., 12 giugno 1973, n. 85; C. Cost., 16 gennaio 1970, n. 10; C. Cost., 11 dicembre 1969, n. 159; C. Cost., 2 luglio 1968, n. 85; C. Cost., 24 gennaio 1964, n. 2; C. cost., 28 giugno 1963, n. 118; C. Cost., 7 giugno 1963, n. 107 e C. Cost., 13 novembre 1962, n. 93). Pertanto, il diritto di difesa può dirsi garantito solo nella misura in cui la struttura processuale ne consente l'effettivo esercizio.
Alla luce del pensiero costituzionale, occorre verificare se il termine previsto dall'art. 473-bis.17, comma 1, c.p.c. – pensato e quantificato in modo da contenere le tempistiche del procedimento latu sensu familiare – possa essere considerato come eccessivamente breve e, di conseguenza, come impediente al pieno esercizio del diritto di difesa di cui all'art. 24 Cost.
La risposta al quesito passa dal bilanciamento tra valori costituzionali: da un lato, il diritto di difesa (art. 24 Cost.) e, dall'altro lato, la necessità di contenere i tempi processuali in chiave efficientistica – ratio ispiratrice dell'architettura della fase dello scambio delle memorie nella fase introduttiva del rito unico in materia familiare – e l'attuazione del principio della ragionevole durata del processo (art. 111, comma 2, Cost.).
Tale opera di bilanciamento, almeno a sommesso parere dello scrivente, dovrebbe risolversi a favore del diritto di difesa nella misura in cui l'efficacia del sistema processuale – intesa come effettiva tutela delle posizioni giuridiche coinvolte e come efficace espressione del diritto di difesa – deve necessariamente prevalere sull'aspetto dell'efficienza del sistema giustizia inteso come articolazione dell'iter processuale con l'unico obiettivo di contenere le tempistiche, minimizzare i costi ed abbattere l'arretato.
In altri termini, non appare costituzionalmente compatibile un sistema processuale che per essere di durata ragionevole comprima il diritto di difesa: l'aspetto quantitativo e qualitativo del processo non devono essere visti come elementi contrapposti e confliggenti, bensì come aspetti da armonizzare.
Tale percorso argomentativo conduce a condividere le tesi espresse dal Tribunale genovese posto che il termine previsto dall'art. 473-bis.17, comma 1, c.p.c. crea un evidente vulnus al diritto di difesa nella misura in cui concede alla parte solo dieci giorni – od anche un termine inferiore (si pensi all'ipotesi in cui il termine scada in un giorno festivo e, dunque, la scadenza dovrà essere retrodatata al primo giorno utile non festivo) – per poter articolare la propria difesa a seguito della domanda riconvenzionale formulata dal convenuto.
Sul punto occorre evidenziare come il termine previsto dall'art. 473-bis.17, comma 1, c.p.c. deve essere considerato eccessivamente breve solo nel caso in cui il convenuto abbia proposto domanda in via riconvenzionale e, dunque, solo laddove l'attore abbia a disposizione dieci giorni per poter organizzare la propria linea difensiva in relazione ad una domanda nuova e che spesso richiede un accertamento diverso rispetto a quello che le domande contenute nel ricorso introduttivo ponevano nell'ambito del procedimento.
Il dubbio di costituzionalità dell'art. 473-bis.17, comma 1, c.p.c., così come appena precisato, non può essere superato invocando il dovere deontologico di competenza e professionalità gravante sull'avvocato. Non appare possibile, infatti, affermare che se l'avvocato è preparato e specializzato allora il termine breve non possa risolversi in una lesione del diritto di difesa in quanto, pur in un lasso di tempo così contenuto, l'avvocato potrà al meglio preparare la propria linea difensiva. Tale argomentazione non coglie nel segno nella misura in cui, nonostante il sistema preclusivo, i termini di costituzione, l'anticipazione delle memorie rispetto all'udienza, la natura polifunzionale dell'udienza di comparizione impongono all'avvocato un alto grado di preparazione e di specializzazione, non appare giustificato comprimere eccessivamente il diritto di difesa, anche in relazione al lasso di tempo in cui questo può e deve maturare.
Riportando il ragionamento sul piano costituzionale, si deve notare come l'accoglimento della questione di costituzionalità sollevata dal Tribunale genovese dovrebbe portare la Corte Costituzionale a pronunziare una sentenza manipolativa nella misura in cui il Giudice rimettente chiede alla Consulta di modificare, ampliandolo, il termine previsto dall'art. 473-bis.17, comma 1, c.p.c. Tuttavia, ciò richiederebbe una modifica complessiva della struttura dell'art. 473-bis.17 c.p.c. e, più in generale, una rimodulazione cronologica di tutta la fase introduttiva del rito unico in materia familiare: l'ampliamento del termine di cui all'art. 473-bis.17, comma 1, c.p.c. imporrebbe un aggiustamento del termine concesso al convenuto per la costituzione in giudizio, una ridefinizione dei termini previsti per il deposito delle memorie di cui all'art. 473-bis.17 c.p.c. ed una modifica del termine che deve intercorrere tra il deposito del ricorso e la data di celebrazione dell'udienza. Tale attività, che si addice più al Legislatore che alla Corte Costituzionale, dovrebbe riguardare solo l'ipotesi in cui il convenuto, costituendosi in giudizio, proponga una domanda in via riconvenzionale, essendo questa l'ipotesi che rende il termine di cui all'art. 473-bis.17, comma 1, c.p.c. eccessivamente breve ed incompatibile con l'art. 24 Cost.
A margine di tale rilievo, appare possibile, a parere dello scrivente, una soluzione interpretativa capace di coniugare il rispetto del diritto di difesa con l'attuale architettura degli atti introduttivi del rito unico in materia familiare e che si fonda sull'art. 101, comma 2, c.p.c. laddove prevede che il giudice, accertata una violazione del diritto al contraddittorio da cui sia derivata una lesione del diritto di difesa, debba adottare i provvedimenti opportuni. Tale norma risulta applicabile al caso di specie a fronte del rilievo della violazione del contraddittorio – inteso come impossibilità delle parti di confrontarsi su di un piano di parità in relazione al contenuto della domanda riconvenzionale – che ha cagionato la lesione del diritto di difesa che dovrebbe rintracciarsi nell'impossibilità per la parte di articolare compiutamente le proprie difese in un termine così breve come quello riconosciuto dall'art. 473-bis.17, comma 1, c.p.c.
L'art. 101, comma 2, c.p.c. – norma criticata in dottrina nell'attuale formulazione normativa, ma applicabile anche nei casi in cui, pur non essendo ravvisabile una violazione formale, l'integrità del diritto di difesa debba comunque essere assicurata dal Giudice (cfr. Giaquinto) – consentirebbe all'Autorità Giudiziaria procedente, ricevuta la comparsa di costituzione del convenuto contenente una domanda riconvenzionale, di posticipare la celebrazione dell'udienza di comparizione delle parti. Lo slittamento in avanti dell'udienza consentirebbe all'attore – fermi i termini di cui all'art. 473-bis.17 c.p.c. – di beneficiare di un termine maggiore rispetto a quello di dieci giorni. Esemplificando, l'attore può articolare la propria difesa nel lasso temporale intercorrente tra la data di costituzione del convenuto (che deve avvenire trenta giorni prima dell'udienza) e la data di deposito della memoria ex art. 473-bis.17, comma 1, c.p.c. (che deve avvenire venti giorni prima dell'udienza); mentre, laddove il giudice disponga il differimento dell'udienza, l'attore potrà articolare la propria linea difensiva in uno spazio temporale più ampio posto che la posticipazione dell'udienza determina anche la posticipazione della data entro la quale deve essere depositata, a pena di decadenza, la memoria di cui all'art. 473-bis.17, comma 1, c.p.c.
Si noti che il provvedimento di posticipazione della prima udienza dovrebbe essere tempestivo ovvero dovrebbe intervenire nel lasso di tempo immediatamente successivo alla costituzione del convenuto, ma precedente al termine concesso all'attore per il deposito della memoria di cui all'art. 473-bis.17, comma 1, c.p.c. e ciò al fine di evitare che il differimento dell'udienza comporti la concessione ex novo di tutti i termini di cui all'art. 473-bis.17 c.p.c.
La soluzione interpretativa proposta consentirebbe una armonizzazione tra il diritto di difesa ed il principio di efficienza e di ragionevole durata del processo nella misura in cui il Giudice, avendo contezza del contenuto della domanda riconvenzionale, potrebbe determinarsi per il differimento dell'udienza – e, di conseguenza, per l'ampliamento del termine concesso all'attore – in relazione alla complessità della domanda riconvenzionale e delle questioni di fatto e di diritto sulle quali l'attore è chiamato a replicare ed ad articolare la propria linea difensiva. Pertanto, l'ampliamento della tempistica processuale sarebbe giustificato in relazione al concreto atteggiarsi del tema decidendum et probandum così come delineato dalla legittima iniziativa delle parti.
Inoltre, tale soluzione non risulta in contrasto neppure con l'art. 81-bis, comma 2, disp. att. c.p.c. in forza del quale il rispetto del termine di cui all'art. 473-bis.14, comma 3, c.p.c. è tenuto in considerazione nella formulazione dei rapporti per le valutazioni di professionalità del magistrato.
Infatti, l'esegesi proposta potrebbe sicuramente comportare il mancato rispetto del termine di cui all'art. 473-bis.14, comma 3, c.p.c. nella misura in cui il differimento dell'udienza potrebbe far sì che tra il deposito del ricorso e l'udienza intercorrano più di novanta giorni. Tuttavia, la violazione dell'art. 473-bis.14, comma 3, c.p.c. non avrebbe automaticamente una ricaduta negativa in punto di valutazione di professionalità del magistrato, posto che il Giudice avrà la possibilità di dimostrare che il mancato rispetto delle tempistiche codicisticamente prescritte sia stato funzionale a garantire il rispetto del diritto di difesa, del principio del contraddittorio e della ragionevole durata del processo.
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