Riti alternativi nel processo penale: è compatibile con il diritto UE l’approvazione di un accordo di definizione della causa che richiede il consenso dei coimputati

Lorenzo Salazar
10 Dicembre 2024

La CGUE, con due sentenze del 28 novembre 2024, ha stabilito che l'art. 19, § 1, TUE consente ad un collegio giudicante ad hoc di approvare un accordo tra imputato e PM in un procedimento penale con più imputati, stabilendo la legittimità del consenso richiesto agli altri coimputati per l'approvazione giudiziaria di tale accordo in un procedimento penale contro la medesima associazione per delinquere (C-432/22). Inoltre, nella causa C-398/23, la Corte ha ritenuto che la direttiva sul diritto all'informazione nei procedimenti penali non osti ad una disposizione nazionale che richiede il consenso degli altri imputati per l'approvazione di un accordo di definizione della causa concluso tra il PM ed uno degli imputati, solo se tale accordo è concluso durante la fase giudiziaria del procedimento penale con più imputati.

Con due coeve sentenze in data 28 novembre 2024, nei procedimenti C-432/22 e C-398/23, la Corte si è pronunziata sulla compatibilità con le regole europee di norme nazionali che prevedono la necessità del consenso degli altri coimputati per poter procedere alla definizione di un procedimento penale attraverso una procedura alternativa.

I rinvii pregiudiziali sono stati formulati in tempi successivi da due diverse giurisdizioni bulgare, rispettivamente lo Spetsializiran nakazatelen sad (Tribunale penale specializzato bulgaro) e il Sofiyski gradski sad (Tribunale di Sofia), nel quadro del medesimo procedimento nei confronti di un imputato perseguito, insieme a numerosi altri, per i reati di associazione per delinquere finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti.

Nonostante l'imputato avesse raggiunto un accordo con il pubblico ministero con riconoscimento delle proprie responsabilità e conseguente riduzione della pena, i giudici bulgari, con un collegio separato rispetto a quello del procedimento principale, avevano rifiutato di omologare tale accordo in quanto tale approvazione avrebbe richiesto il consenso degli altri coimputati, secondo quanto richiesto dall'art. 384, § 3, del Codice bulgaro di procedura penale (NPK). 

Le giurisdizioni bulgare hanno conseguentemente deciso di interrogare la Corte in via pregiudiziale, al fine di verificare la compatibilità con le norme europee dell'art. 384, § 3, del NPK. Nel primo procedimento (C-432/22) viene in particolare in rilevanza l'art. 19, § 1, secondo comma, TUE ai sensi del quale «Gli Stati membri stabiliscono i rimedi giurisdizionali necessari per assicurare una tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell'Unione». Nel secondo (C-398/23) venivano evocate le due decisioni quadro 2004/757/GAI, riguardante i reati e le sanzioni applicabili in materia di traffico illecito di stupefacenti, e 2008/841/GAI, relativa alla lotta contro la criminalità organizzata, la direttiva 2012/13/UE sul diritto all'informazione nei procedimenti penali, nonché diverse disposizioni (l'art. 20, l'art. 47, primo comma, l'art. 48, § 2 e l'art. 52, § 1) della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea.

Nel procedimento C-432/22, involgente l'art. 19, § 1, secondo comma, TUE, la Corte ha affermato che lo stesso deve essere interpretato nel senso che non osta a una disposizione di diritto nazionale che attribuisce a un collegio giudicante ad hoc, e non a quello incaricato della causa, la competenza a statuire su un accordo di definizione della causa concluso tra un imputato e il pubblico ministero nel corso della fase giudiziaria di un procedimento penale, laddove anche altri imputati sono perseguiti nel contesto del medesimo procedimento. La stessa disposizione non osta a una disposizione di diritto nazionale che, in un procedimento penale avviato a carico di più imputati per la loro partecipazione alla stessa associazione per delinquere, subordina l'approvazione giudiziaria di un accordo di definizione della causa, concluso tra uno degli imputati e il pubblico ministero nel corso della fase giudiziaria di tale procedimento, al consenso di tutti gli altri imputati.

Nel secondo procedimento (C-398/23) relativo in particolare alla direttiva sul diritto all'informazione, scartata la rilevanza delle questioni sulle due decisioni quadro in quanto le disposizioni processuali interne non ne costituiscono attuazione, la Corte si è concentrata sulle rimanenti questioni affermando che l'art. 6, §§ 1 e 3, della direttiva, letto alla luce dell'art.  47, primo comma, e dell'art. 52, § 1, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una disposizione di diritto nazionale che, in un procedimento penale promosso a carico di più imputati, subordina l'approvazione giudiziaria di un accordo di definizione della causa, concluso tra il pubblico ministero e uno degli imputati, al consenso degli altri imputati nel solo caso in cui un siffatto accordo sia concluso nel corso della fase giudiziaria di tale procedimento.