Polisweb e principio di non dispersione della prova

04 Dicembre 2024

Anche per i documenti informatici opera il principio di “non dispersione della prova”, secondo cui il fatto storico in essi provato si ha per dimostrato per tutti i gradi di giudizio, a prescindere dalle scelte difensive di parte.

Massima

Il deposito telematico di un documento è dimostrabile, nei gradi successivi, mediante la produzione della schermata polisweb, con attestazione di conformità. Osservato ciò, opera, anche per i documenti prodotti telematicamente, il principio di “non dispersione (o di acquisizione) della prova”, in base al quale il fatto storico dimostrato dalla documentazione depositata si ha per provato per tutti i gradi di giudizio, a prescindere dalle scelte difensive della parte che detti documenti abbia inizialmente offerto in comunicazione.

Il caso

La ricorrente in Cassazione lamentava l'erroneità della impugnata sentenza di appello nella parte in cui censurava la mancanza di una nuova produzione, in secondo grado, del contratto già a suo tempo depositato nel fascicolo di primo grado, come dimostrato dalla schermata polisweb di quest'ultimo: infatti, non vi sarebbe stato alcun onere per l'appellante di depositare nuovamente tale documentazione, facendo parte quest'ultima del fascicolo telematico di primo grado che viene d'ufficio acquisito dalla Corte di secondo grado.

La questione

Come si dimostra il deposito telematico di un documento in un grado anteriore, affinché operi il principio di non dispersione della prova in relazione a tale produzione?

Le soluzioni giuridiche

Secondo la Suprema Corte, per provare la produzione telematica di un documento in un grado anteriore è sufficiente che sia depositata una schermata polisweb, con attestazione di conformità, ove si dia atto di tale produzione. Così dimostrata quest'ultima, non v'è ragione per negare l'operatività del principio di "non dispersione (o di acquisizione) della prova", in base al quale la prova del fatto storico, rappresentato dai documenti prodotti, spiega efficacia non solo nel grado di giudizio in cui si compiano tali produzioni, bensì anche nei gradi successivi, rimanendo irrilevanti le successive scelte difensive della parte che abbia offerto tali documenti in comunicazione: tale canone, infatti, interessa sia i documenti prodotti cartaceamente, sia quelli depositati telematicamente.

Detto orientamento è coerente con quanto già sostenuto da Cass. civ., sez. un., 16 febbraio 2023 n. 4835. Secondo quest'ultima, infatti, le esigenze sottese al principio dispositivo e – soprattutto – al principio di acquisizione probatoria, segnatamente attinenti ai poteri della parte, nonché alla garanzia della tutela del contraddittorio e del diritto di difesa (particolarmente significative laddove vi sia interesse ad avvalersi di una prova contraria e/o di un documento della controparte), non possono ricevere soluzioni differenziate tra depositi cartacei o telematici. La circostanza che i documenti prodotti telematicamente non siano ritirabili dalla parte non può inficiare la valenza del principio di acquisizione probatoria e la sua attitudine a garantire il “valore della giustizia della decisione”, tantomeno nel passaggio tra i gradi di giudizio, ove il canone de quo si coordina e si pone in continuità con l'effetto devolutivo dell'impugnazione di merito.

Osservazioni

L'ordinanza della Suprema Corte in commento è condivisibile, offrendo ulteriori ed anche inespressi spunti circa le facilitazioni probatorie, offerte dal mezzo telematico e/o webmediato, in merito ad an e quando delle produzioni effettuate nel fascicolo.

Anzitutto è significativo, ma non esaustivo che l'ordinanza della Cassazione conferisca valore probatorio alla “schermata polisweb (…), con attestazione di conformità” circa la produzione documentale in anteriori gradi di giudizio. Ilpolisweb è il sistema telematico del Ministero della Giustizia, che consente la consultazione dei dati dei vari procedimenti: nell'ambito di tale impianto, è possibile visionare l'elenco delle “righe di storico” del fascicolo telematico, evidenzianti le varie produzioni. Chiarito ciò, è palese come l'effettuazione di queste ultime sia, allora, dimostrabile mediante una pluralità di mezzi di prova.

Una prima opzione viene delineata proprio dalla pronuncia in esame. Il citato deposito di una schermata polisweb […], con attestazione di conformità” altro non è, dunque, che la produzione di una copia analogica o digitale di un documento informatico proveniente dal sistema informatico e/o dalla pagina web ministeriale. La disciplina, dunque, è quella rinvenibile agli artt. 23 e 23-bis d.lgs. n. 82/2005 (CAD), che contempla l'attestazione di conformità come strumento per comprovare quest'ultima.

Dalle medesime norme, tuttavia, deriva una seconda alternativa probatoria, vale a dire, in luogo della predetta attestazione di conformità, la produzione della copia della schermata polisweb, accompagnata dal mancato disconoscimento della stessa. Si tratta, a ben vedere, di quanto, nella disciplina pregressa – con o senza la mediazione dell'art. 10 d.P.R. n. 445/2000 – era riconducibile all'art. 2712 c.c. Ne derivano diversi corollari circa la disciplina applicabile al disconoscimento, tratti dalla giurisprudenza maturata su quest'ultima disposizione.

In primis, il momento processuale dello stesso, potendo intervenire il disconoscimento solo nella prima difesa utile e successiva alla produzione, almeno in base all'orientamento più recente – ex multis – di Cass. civ., sez. II, 24 febbraio 2023 n. 5755, che, tramite tale lettura tratta dall'art. 157, comma 2, c.p.c., ha superato il passato indirizzo di Cass. civ., sez. lav., 18 dicembre 1998 n. 12715, che sanciva la formulabilità di detto disconoscimento “nel corso dell'intero giudizio”, per ritenuta inapplicabilità dell'art. 215 c.p.c. In secundis, il contenuto del disconoscimento, implicante l'esigenza di una contestazione non solo tempestiva, chiara, circostanziata ed esplicita, ma anche indicante gli “elementi attestanti la non corrispondenza tra realtà fattuale e realtà riprodotta” (così Cass. civ., sez. VI, 13 maggio 2021 n. 12794). In tertiis, lo strumento probatorio per il vaglio del disconoscimento, esteso a qualunque mezzo di prova, anche meramente presuntiva (così, ex multis, Cass. civ., sez. lav., 17 febbraio 2015 n. 3122).

Occorre, poi, verificare se, a prescindere dalla produzione della schermata polisweb per iniziativa di parte, tale documentazione possa essere acquisitaex art. 213 c.p.c. dal giudice d'appello. Invero, che quest'ultimo possa consultare un sito web afferente alla Pubblica Amministrazione, ai sensi di tale disposizione, risulta dato sostanzialmente acquisito dalla giurisprudenza.

Depone esemplificativamente in tal senso Cass. civ., sez. III, 26 agosto 2020 n. 17810, che ha sussunto all'art. 213 c.p.c. l'esame del sito internet del servizio postale (in quel caso, addirittura estero). Tuttavia, l'esportabilità di tale principio nella fattispecie de qua deve essere vagliata alla luce dell'ordinaria inammissibilità di tale mezzo di prova laddove sotteso a surrogare l'onere della prova in capo alle parti (in tal senso, ex multis, Cass. civ., sez. V, 27 giugno 2003 n. 10219), visto che la consultazione officiosa del sito web interverrebbe alla luce della mancata produzione della schermata polisweb e/o di una sua insufficienza. Invero, pur essendo tale criterio generale un naturale frutto del principio dispositivo, non è limitabile il potere ex art. 213 c.p.c.de quo per quanto più specificatamente oggetto della presente indagine: rammentato che, secondo la Suprema Corte, nei giudizi di impugnazione opera il c.d. principio di non dispersione della prova, in base al quale le prove anche documentali, ritualmente acquisite al processo, restano nella cognizione dell'organo giudicante, al punto tale che questi può anche ordinare d'ufficio, a modello dell'art. 123-bis disp. att. c.p.c., la produzione del documento prodotto in precedente grado e successivamente ritirato o comunque non disponibile (così Cass. civ., sez. un., 16 febbraio 2023 n. 4835), a fortiori un approfondimento istruttorio officioso può interessare l'an e il quando di tale produzione, attraverso l'esame diretto del polisweb da parte del giudice dell'impugnazione. Pertanto, nella presente fattispecie in esame, il suesposto principio di non dispersione della prova supera e tempera quello dell'onere della prova, consequenzialmente ampliando i margini di ammissibilità dello strumento officioso di cui all'art. 213 c.p.c.

Il sopraindicato ampliamento dei poteri istruttori del giudice implica, inoltre, che, mutatis mutandis, altrettanto questi possa disporre anche una CTU ogni qualvolta non siano controversi l'an e il quando della produzione telematica, bensì altri aspetti squisitamente tecnici della stessa, come, esemplificativamente, l'originaria leggibilità o meno del relativo file per come prodotto davanti al giudice a quo e/o l'imputabilità o meno di problemi di visualizzazione alla parte depositante. Al pari di quanto esposto circa il potere ex art. 213 c.p.c., l'ammissibilità di una CTU in tema, pertanto, non troverà il limite dell'onere probatorio delle parti (altrimenti vigente, alla stregua, ex multis, di Cass. civ., sez. lav., 5 ottobre 2006 n. 21412).

Permane, invece, il diverso onere di allegazione dei fatti principali, ad esempio della succitata problematica tecnica, su cui dovrebbe vertere tale approfondimento istruttorio (la cui generale vigenza, in rapporto alla consulenza, è stata ribadita, inter alia, da Cass. civ., sez. un., 1° febbraio 2022 n. 3086): trattasi, infatti, di aspetto inerente alle argomentazioni dell'impugnazione, la cui sussunzione all'ambito della cognizione del giudice ad quem deve essere sollecitata dalla parte, in osservanza del canone tantum devolutum quantum appellatum.

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