Può il giudice verificare il malfunzionamento del sistema informatico?

25 Novembre 2024

È abnorme il provvedimento del GIP che dichiari inammissibile la richiesta di archiviazione depositata in formato cartaceo dal PM a causa di un malfunzionamento dell'applicativo, che ha impedito il deposito telematico?

Sulla questione un recente orientamento di cassazione esclude che il giudice possa sindacare sul punto, ritenendo abnorme il provvedimento col quale il GIP abbia escluso che nel caso di specie fosse presente un cattivo funzionamento del sistema, in quanto tale potere non gli è attribuito dall'ordinamento processuale riservandolo esclusivamente al procuratore della repubblica (orientamento inaugurato da Cass. pen., sez. II, n. 42873 depositata il 22 novembre 2024, e poi ripreso sempre dalla seconda sezione di legittimità, nelle sentenze nn. 43678, 46030 del 2024 e, da ultimo, dalla n. 45 depositata il 2 gennaio 2025).

Nella fattispecie concreta portata all'attenzione della Suprema Corte, il GIP dichiarava inammissibile la richiesta del PM in un procedimento contro ignoti «in quanto depositata irritualmente (in maniera cartacea in cancelleria il 24 aprile 2024), in violazione del dettato di cui all'art. 3 del decreto ministeriale n. 217 del 2023 […che] impone, tra l'altro, ai soggetti interni abilitati (tra cui il Pubblico Ministero), il deposito telematico mediante l'applicativo degli atti relativi ai procedimenti di archiviazione».

Per il giudice, la problematica descritta dal PM e dal Magrif non costituiva malfunzionamento del sistema che avrebbe legittimato la redazione delle richieste di archiviazione in formato analogico e il successivo deposito con modalità telematiche.

Interponeva ricorso per cassazione il PM, chiedendo l'annullamento del decreto di inammissibilità per abnormità dell'atto sia sotto il profilo strutturale (in quanto l'art. 175-bis c.p.p. non prevede la reazione giurisdizionale sull'accertamento del malfunzionamento del sistema) che funzionale (determinandosi una stasi del procedimento, laddove il PM non possa procedere al deposito cartaceo, né reiterare la richiesta di archiviazione in modalità analogica perché preclusa dal GIP).

La Suprema Corte ha accolto il ricorso del PM.

Partendo dalla base normativa, ricorda cha dal 14 gennaio 2024, in ragione di quanto disposto dall'art. 3 d.m. n. 217/2023, il deposito di atti, documenti, richieste e memorie per i procedimenti di archiviazione ha luogo (solo) con modalità telematiche ai sensi dell'art. 111-bis c.p.p. (quindi col deposito al portale), fatto salvo «quanto previsto dall'art. 175-bis» in caso di malfunzionamento dei sistemi informatici.

In tale ultima ipotesi «atti e documenti sono redatti in formato analogico e depositati con modalità non telematiche» (art. 175-bis, comma 3, c.p.p.), anche qualora il malfunzionamento del sistema sia «accertato ed attestato dal dirigente dell'ufficio giudiziario, e comunicato con modalità tali da assicurare la tempestiva conoscibilità ai soggetti interessati della data e, ovi risulti, dell'orario dell'inizio e della fine del malfunzionamento» (successivo comma 4).

Proprio in forza di quest'ultima disposizione, il PM disponeva che le richieste di archiviazione venissero redatte e depositate in modalità analogica fino al 31 maggio 2024, essendo stato accertato un malfunzionamento del relativo applicativo per la redazione e firma delle richieste di archiviazione dei soli procedimenti con iscrizione SICP qualificati come “ignoti seriali”.

Per i giudici di legittimità, come ritenuto dal primo e assorbente motivo di ricorso, risulta viziato da abnormità nella sua duplice accezione strutturale (in quanto l'atto è totalmente avulso dal sistema processuale) e funzionale (poiché esso determina una stasi irrimediabile del procedimento).

Sotto il primo profilo il GIP, escludendo che nel caso di specie si fosse in presenza di un malfunzionamento del sistema, ha esercitato un potere non attribuitogli dall'ordinamento processuale in quanto esclusivamente riservato al Procuratore della Repubblica, il cui atto, di natura amministrativa, non era sindacabile dal giudice.

Quanto all'abnormità funzionale, il PM, depositando le richieste con modalità telematiche, come preteso dal GIP, avrebbe violato il provvedimento del capo dell'ufficio, disattendendo nel contempo quanto previsto dalle norme del codice di rito in tema di presentazione cumulativa delle richieste di archiviazione nei procedimenti nei confronti di “ignoti seriali” (combinato disposto dell'art. 415-bis, comma 4, c.p.p. e dell'art. 107-bis disp. att. c.p.p.).

Pertanto, il decreto di inammissibilità dell'impugnato viene annullato senza rinvio, con trasmissione al competente GIP per l'ulteriore corso.

La decisione rappresenta una corretta applicazione della nuova cornice normativa in materia di processo penale telematico.

Ma cosa succede quando il sistema “improvvisamente” non funzionerà? Soprattutto laddove il deposito dell'atto avvenga nelle ultime ore dell'ultimo giorno e non si riesca ad accedere al portale perché il sito non è raggiungibile (esempio opposizione alla richiesta di archiviazione). 

L'art. 175 c.p.p., ‒ norma entrata in vigore il 14 gennaio 2024, ai sensi del comma 5 dell'art. 87 d.lgs. n. 150/2022, per tutti gli atti per i quali il deposito telematico è diventato esclusivo (come la richiesta di archiviazione oggetto del caso attenzionato dalla recente sentenza della Suprema Corte) e per i quali, dunque, non è stato previsto alcun “periodo di transizione” ‒ non è invocabile nel nostro caso. 

La norma disciplina, infatti, soltanto le ipotesi di malfunzionamento “prevedibile e previsto”, presupponendo, infatti, che lo stesso sia anticipatamente e per tempo attestato e comunicato dal DGSIA o dal Dirigente dell'Ufficio giudiziario. 

La soluzione adottata dal legislatore è in ogni caso quella di autorizzare, fino all'avvenuto ripristino del sistema, solo modalità “non telematiche” di deposito e, nel caso di scadenza di termini previsti a pena di decadenza, l'applicazione dell'istituto della restituzione nei termini, ex art. 175 c.p.p. 

La norma non è certamente applicabile, come detto, al malfunzionamento ‘improvviso', cioè non attestato e comunicato per tempo dal DGSIA o dal Dirigente dell'ufficio, e soprattutto non autorizza, quindi logicamente preclude, l'uso alternativo della posta elettronica certificata.

Potrebbe al contrario invocarsi il comma 6-quaterdell'art. 87, norma la cui vigenza sopravvive certamente al d.m. n. 217/2023, non essendo testualmente ancorata alla pubblicazione del regolamento.

Secondo la prima parte della predetta disposizione, ancora una volta, se il malfunzionamento è certificato anticipatamente dal DGSIA, il termine di deposito in scadenza sarà “prorogato” di diritto fino all'effettivo ripristino del sistema. Nulla si dice, invece, in ordine alla possibilità di depositare ugualmente l'atto con modalità alternative, e men che meno attraverso l'uso della PEC. 

L'ultimo periodo dell'art. 87, comma 6-quater della riforma Cartabia, tuttavia, legittima l'Autorità giudiziaria ad “autorizzare” il deposito dell'atto in formato cartaceo, se ricorrono «ragioni specifiche». 

Esclusa testualmente la possibilità che l'Autorità giudiziaria legittimi l'uso della PEC, la disposizione sembra attribuire ampi margini ai Dirigenti degli Uffici giudiziari, affinché adottino provvedimenti, anche di carattere generale e preventivo, che autorizzino il deposito cartaceo anche nel caso di malfunzionamento improvviso del portale, dunque, non attestato e comunicato preventivamente.

In caso di malfunzionamento improvviso del sistema informatico il controllo del giudice diventa necessario, proprio per garantire che anomalie informatiche non possano arrecare pericolosi vulnus al diritto di difesa.

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