Titolo esecutivo e crediti futuri

17 Ottobre 2024

Quali sono i requisiti che deve avere un atto pubblico per essere considerato come titolo esecutivo a norma dell'art. 474, comma 2, n. 3, c.p.c.?

Massima

Deve ritenersi che anche nella attuale formulazione dell'art. 474 c.p.c., un atto pubblico in tanto possa essere fatto valere quale titolo esecutivo, in quanto lo stesso documenti l'esistenza attuale di una obbligazione (avente ad oggetto una somma di denaro), con l'effetto che, in mancanza di tale requisito, laddove cioè l'atto notarile documenti unicamente un credito futuro ed eventuale, esso non potrà essere integrato con la semplice prova, anche se documentale, del fatto successivo generatore dell'obbligazione, occorrendo che anche quest'ultimo sia dotato della medesima forma pubblica.

La fattispecie

La questione all'esame del Tribunale di Roma, nel provvedimento che si annota, traeva origine da una opposizione a precetto.

In particolare, stando a quanto può evincersi dalla sentenza in commento, la parte creditrice aveva intimato precetto sulla base di un atto pubblico avente ad oggetto contratto di affitto di ramo d'azienda (mediante il quale l'affittuario si era obbligato alla corresponsione di un canone mensile per la conduzione dell'azienda, nonché al pagamento di una penale per l'ipotesi di risoluzione del contratto al medesimo imputabile), chiedendo il pagamento di somme sia a titolo di canoni insoluti, sia a titolo di penale derivante dalla intervenuta risoluzione del contratto per causa imputabile all'affittuario.

La proposta opposizione si incentrava, in particolare, sulla circostanza che al contratto in questione non potesse attribuirsi la natura di titolo esecutivo a norma dell'art. 474 c.p.c., non avendo lo stesso ad oggetto un credito certo, liquido ed esigibile.

 Le questioni affrontate

Il tema centrale sul quale si sofferma la sentenza in commento è quello della individuazione dei requisiti che deve avere un atto pubblico per essere considerato come titolo esecutivo a norma dell'art. 474, comma 2, n. 3, c.p.c. e, quindi, se un atto ricevuto da notaio debba sempre qualificarsi come titolo esecutivo, oppure debba ritenersi come tale solo ove possieda determinati requisiti che consentano di ritenere che lo stesso veicoli un credito certo, liquido ed esigibile.

 La soluzione proposta

Per risolvere la questione appena menzionata, il Tribunale di Roma trae spunto da una pronuncia di Cassazione, stando alla quale: «In tema di esecuzione forzata intrapresa in forza di un atto pubblico notarile (ovvero di una scrittura privata autenticata) che documenti un credito solo futuro ed eventuale e non ancora attuale e certo(pur risultando precisamente fissate le condizioni necessarie per la sua venuta ad esistenza), al fine di riconoscere all'atto azionato la natura di titolo esecutivo ex art. 474 c.p.c. è necessario che anche i fatti successivi, determinanti l'effettiva insorgenza del credito, siano documentati con le medesime forme e, cioè, con atto pubblico (o con scrittura privata autenticata)» (Cass. civ., sez. III, 28 dicembre 2021, n. 41791).

Partendo da questa premessa, la sentenza in commento giunge alla conclusione - anche attraverso un'esegesi della norma che tiene conto delle modifiche del contenuto della stessa, intervenute per effetto del d.l. n. 35/2005 (convertito in l. n. 80/2005) - che, poiché non risultano accertati, in sede giudiziale, né il mancato pagamento dei canoni dei quali si intima il versamento né l'imputabilità dell'inadempimento, deve concludersi che il credito portato dal contratto di affitto di ramo di azienda sia meramente futuro ed eventuale e, come tale, insuscettibile di essere portato in esecuzione sulla sola base dell'atto pubblico costituito dal contratto di affitto di ramo di azienda.

Indubbiamente, la questione affrontata nella sentenza in esame risulta di sicuro interesse e non priva di profili spinosi.

L'art. 474 c.p.c., al suo primo comma, prevede che «L'esecuzione forzata non può avere luogo che in virtù di un titolo esecutivo per un diritto certo, liquido ed esigibile».

In termini molto generali, si può dire, quanto al primo requisito indicato dalla norma, che lo stesso sia ravvisabile allorché l'esistenza del credito emerga con certezza dal titolo esecutivo.

Un credito è, inoltre, liquido, se è determinato o determinabile.

Infine, il credito si intende esigibile se non è sottoposto a termine o a condizione.

La sentenza in commento si sofferma, allora, sulla possibilità di qualificare come titolo esecutivo un contratto, che assume la forma di atto pubblico, che sancisca un credito solo eventuale e futuro.

La giurisprudenza di legittimità citata nella sentenza che si annota (peraltro, in senso conforme, si veda, ancor più di recente, Cass. civ., sez. III, 3 gennaio 2023, n. 52), sembra invero esprimersi in senso negativo, negando che un credito futuro ed eventuale, come tale privo dei caratteri della attualità e della certezza, possa indurre a configurare la presenza di un titolo esecutivo ai sensi dell'art. 474 c.p.c.

Vi è da notare, invero, che tanto le due sentenze di legittimità sopra citate (ossia Cass. civ., sez. III, 28 dicembre 2021, n. 41791 e Cass. civ., sez. III, 3 gennaio 2023, n. 52), quanto la maggior parte delle altre sentenze menzionate nella pronuncia che si annota (sentenze, queste ultime, che si soffermavano sull'interpretazione da attribuire all'art. 474 c.p.c. nella formulazione vigente anteriormente alle modifiche apportate per effetto del d.l. n. 35/2005) avevano ad oggetto contratti bancari e si concentravano sull'indagine in merito alla possibilità di considerare tali contratti, stipulati nella forma di atti pubblici o di scritture private autenticate, come titoli esecutivi, allorché non emergesse dal contenuto dei medesimi (fossero essi atti pubblici, ovvero scritture private autenticate) l'effettivo conseguimento, da parte del correntista o del mutuatario, delle somme messe a disposizione da parte dell'istituto di credito.

Va da sé che, qualora tale prova dovesse ritenersi conseguita (o perché emergente dallo stesso atto pubblico integrante l'apertura di credito o il mutuo, o perché risultante da altro successivo atto redatto con le medesime forme), non sussisterebbero dubbi in merito alla possibilità (con specifico riguardo ad un contratto di mutuo, ad esempio) di intimare con precetto il pagamento delle rate di mutuo scadute, oltre ai relativi interessi, anche in assenza di un accertamento giudiziale in merito alla intervenuta risoluzione del contratto e al mancato versamento delle rate delle quali si chiede il pagamento.

Ecco, allora, che la soluzione, all'apparenza piana, adottata nella sentenza in commento potrebbe forse risultare eccessivamente rigorosa, quanto meno con riguardo alle somme intimate, sulla base dell'atto pubblico di affitto di ramo d'azienda, a titolo di canoni scaduti e non pagati: mentre, infatti, la richiesta di somme a titolo di penale presuppone pur sempre un accertamento in merito alla avvenuta risoluzione del contratto e alla imputabilità della stessa, forse non vi è ragione per negare la possibilità di intimare il pagamento dei canoni scaduti e non assolti, trattandosi di obbligazione direttamente nascente dalle pattuizioni contrattuali contenute in atto pubblico, ferma restando la possibilità, per la parte intimata, di proporre opposizione deducendo, ad esempio, l'avvenuto adempimento.

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