La continuità aziendale con “ripresa” dell’attività cessata
01 Agosto 2024
«L'art. 84 c.c.i.i. riconosce la continuità aziendale non soltanto in caso di prosecuzione dell'impresa, e cioè di “un'azienda in esercizio” al momento della presentazione della domanda e anche a seguito dell'esecuzione, ma anche in caso di “ripresa dell'attività” cessata da parte di un soggetto diverso dal debitore. La norma non àncora la “ripresa”, ai fini della continuità aziendale, a un rigido parametro temporale (“entro e non oltre”) legato alla cessazione dell'attività. Ciò non toglie che un limite implicito e non equivoco sussista, poiché è caratteristica essenziale del concordato in continuità di servire alla “conservazione dei valori aziendali”, intesi in senso ampio (patrimonio, avviamento ecc.), oltre a preservare posti di lavoro “nella misura possibile” (art. 84 comma 2), tanto che l'art. 47 comma 1, lett. b), prevede l'inammissibilità della domanda nel caso di manifesta non idoneità del piano (oltre che alla soddisfazione dei creditori, come proposta, anche) “alla conservazione dei valori aziendali”. Il criterio paralizza i piani concordatari presentati in continuità dai quali risulti, in modo manifesto, l'assenza di prospettive di risanamento e riequilibrio finanziario-patrimoniale dell'impresa o che la prosecuzione dell'attività implicherebbe nell'orizzonte del piano flussi di cassa di segno negativo, con conseguente dissipazione di risorse. Rispetto a un'attività cessata, il criterio della “conservazione dei valori aziendali” s'arricchisce di una sfumatura nuova, poiché è lecito attendersi secondo un canone di normalità che la cessazione dell'attività comporti dispersione degli elementi aziendali e dell'avviamento in particolare, tanto più quanto maggiore è l'intervallo temporale tra la cessazione e la supposta “ripresa”. Pertanto, la presentazione di un concordato per la ripresa dell'attività richiede che l'impresa cessata conservi una “riserva di valore” latente negli elementi aziendali ancora esistenti e di cui è prevista la cessione o affitto, tale da consentire come effetto della “ripresa”– in termini effettivi e non di semplice facciata – la conservazione dei valori aziendali, il mantenimento “per quanto possibile” dei posti di lavoro, il soddisfacimento dei creditori sia pure in misura non prevalente per il tramite dei flussi della continuità (art. 84 comma 3). (…) Implicazione giuridica della manifesta inesistenza di una “riserva di valore” latente nell'impresa cessata che possa essere suscitata dalla ripresa è l'inammissibilità della proposta come concordato in continuità, direttamente per il tramite dell'art. 47 comma 1, lett. b), e in ogni caso per abuso dello strumento concordatario, del quale, nonostante il nomen juris adottato dal proponente, difettano gli elementi tipologici. Resta salva l'eventuale riqualificazione del concordato in termini liquidatori e la salvezza dell'ammissione quando risultano comunque soddisfatte le condizioni di cui all'art. 84 comma 4». In applicazione di tali principi, il tribunale di Torino ha dichiarato inammissibile una proposta di concordato preventivo in continuità aziendale indiretta relativa ad un'impresa completamente inattiva, sia nel core business che nell'attività residuale, almeno a partire dalla metà del 2021. |