Inadempimento del committente al pagamento del corrispettivo e rapporti con l’azione diretta in favore di lavoratori e dipendenti

14 Marzo 2024

L’ordinanza in commento rammenta i presupposti necessari per l’esercizio dell’azione diretta prevista in favore dei lavoratori e dei dipendenti dell’appaltatore nei confronti del committente per conseguire quanto loro dovuto a titolo retributivo e contributivo, come previsto sia dall'art. 1676 c.c. sia dall'art. 29 D.Lgs. 276/2003; tale normativa viene ribadita dalla Corte in una peculiare ipotesi nella quale il committente aveva paralizzato la pretesa creditoria dell’appaltatore per il corrispettivo dell’appalto ancora dovutogli per aver subito l’azione diretta dei lavoratori di quest’ultimo, ritenendolo inadempiente per non aver dimostrato la regolarità retributiva e contributiva dei propri dipendenti.  

Massima

In caso di subappalto, il subcommittente non può eccepire, a fronte della richiesta di versamento del corrispettivo del contratto, l'inadempimento del subappaltatore per non aver dimostrato la regolarità retributiva e contributiva dei dipendenti ed ausiliari di quest'ultimo, in quanto la norma di cui all'art. 1676 c.c. presuppone che la relativa responsabilità solidale del subcommittente operi nei limiti di quanto ancora dovuto al subappaltatore, sicché, una volta versato il corrispettivo del contratto, viene meno anche la detta responsabilità solidale; responsabilità, invece, che, malgrado il versamento del corrispettivo, non si estingue ai sensi dall'art. 29 D.Lgs. 276/2003, con il solo limite del decorso del termine di due anni decorrente dalla cessazione dell'appalto.

[N.d.r.: si segnala che l'art. 29 D.Lgs. 276/2003 è stato modificato dall'art. 29 c. 2 lett. a e b DL 19/2024 in corso di conversione].

Il caso

La questione sottoposta all'attenzione della Suprema Corte trae origine dall'introduzione di un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo instaurato da un consorzio (subcommittente) nei confronti di una società consorziata (subappaltatrice), la quale aveva ottenuto il provvedimento monitorio al fine di ottenere il pagamento del corrispettivo dovutole per servizi di pulizie resi presso alcuni immobili della committente Poste Italiane; quanto alle ragioni dell'opposizione, il Consorzio sosteneva che la consorziata opponente si era resa inadempiente nei confronti dei lavoratori dipendenti per irregolarità retributive e contributive, tanto da essere stato convenuto, in uno al committente Poste Italiane, in controversie di lavoro attivate dai medesimi dipendenti in virtù dell'azione diretta prevista in loro favore, stante il vincolo di solidarietà previsto dall'art. 1676 c.c. e dell'art. 29 D.Lgs. 276/2003.

Pertanto, proponeva eccezione di inadempimento ai sensi dell'art. 1460 c.c. con riguardo alla restante parte del corrispettivo ancora dovuto, sostenendo di poter legittimamente rifiutare l'adempimento richiesto non avendo l'opponente esibito, su richiesta, la documentazione attestante la regolarità contributiva e retributiva dei propri dipendenti in violazione delle previsioni negoziali; dunque, chiedeva la revoca del decreto ingiuntivo, oltre al risarcimento del danno per essere stata sospesa dall'albo dei fornitori di Poste Italiane a causa del comportamento colposo e inadempiente della consorziata opposta.

Il Tribunale adito, accogliendo parzialmente l'opposizione, accertava il credito rivendicato dall'opposta, tuttavia riconoscendo il Consorzio - che aveva percepito il corrispettivo dell'appalto dal committente Poste Italiane - debitore della consorziata di una minor somma rispetto a quella richiesta con il ricorso per ingiunzione, derivante dalla compensazione giudiziale tra il corrispettivo dell'appalto e il controcredito vantato dalla opponente per aver pagato quanto dovuto ai dipendenti della società opposta nell'esercizio dell'azione diretta citata.

La Corte distrettuale, adita dal Consorzio, rigettava interamente la pretesa creditoria proposta dalla consorziata, ritenendo sussistente l'inadempimento di quest'ultima - e dunque la legittimità dell'eccezione di inadempimento dell'opponente - per aver violato l'obbligo di regolarità retributiva e contributiva assunto non soltanto nei confronti dei propri dipendenti, ma anche nei confronti del Consorzio medesimo, sia con il vincolo associativo che con il contratto di subappalto, escludendo che tale obbligo fosse stato adempiuto con il rilascio di quietanze e con il DURC.

La questione

La pronuncia in commento affronta incidentalmente la questione relativa all'ambito applicativo dell'art.1676 c.c. e dei presupposti per l'azione diretta in favore degli ausiliari e dipendenti dell'appaltatore nei confronti del committente, avendo modo di differenziare la portata di tale disposizione codicistica con quanto, invece, previsto dall'art. 29 c. 2 D.Lgs. 276/2003.

Tale questione incidentale, riguardante il citato contesto normativo, si inserisce nel reale thema decidendum che ha investito la Suprema Corte - attinente al principio generale previsto dall'art. 1460 c.c. -, la quale ha cassato con rinvio la decisione della Corte di appello che aveva ritenuto legittimo il comportamento dell'opponente Consorzio nel paralizzare la pretesa creditoria della consorziata subappaltatrice, ritenendola inadempiente per non aver dimostrato la regolarità contributiva e retributiva dei suoi dipendenti.

La società opposta, dunque, soccombente nel secondo grado di giudizio, interponeva ricorso per cassazione proponendo quattro motivi, dei quali i primi due, attinenti alle questioni giuridiche menzionate, venivano condivisi dalla Suprema Corte con la pronuncia in commento.

La soluzione giuridica

Per chiarezza espositiva, occorre premettere che l'oggetto del giudizio devoluto in sede di legittimità non concerne l'accertamento dell'intero importo ingiunto a titolo di corrispettivo dell'appalto, atteso che era da considerarsi coperta da giudicato la sussistenza, mediante compensazione giudiziale, del controcredito del Consorzio il quale, all'esito delle vertenze dinanzi al giudice del lavoro attivate dai dipendenti dell'opposta società, aveva provveduto a corrispondere ai medesimi le retribuzioni dovute; ciò che, dunque, veniva devoluto dinanzi alla Suprema Corte era unicamente la questione riguardante la pretesa della consorziata subappaltatrice del residuo corrispettivo per i servizi resi in esecuzione dell'appalto, rifiutato dal Consorzio poiché avvalsosi (legittimamente secondo il giudice di secondo grado) dell'eccezione inadimplenti non est adimplendum.

La Corte di cassazione, con l'ordinanza in commento, nel cassare con rinvio la sentenza di appello, ha ribadito i presupposti applicativi delle due disposizioni normative coinvolte (art. 29 D.Lgs. 276/2003 e art. 1676 c.c.), rifacendosi a precedenti giurisprudenziali già consolidati, disattesi dalla Corte di appello, così escludendo la legittimità dell'eccezione sollevata ai sensi dell'art. 1460 c.c.

La questione rende utile una preliminare disamina degli istituti coinvolti.

Adeguandosi ai principi espressi in diverse pronunce - che, sotto il profilo logico si pongono come questioni dirimenti per la valutazione dell'eccezione di inadempimento affrontata nel caso di specie -, la Corte ha rammentato i presupposti applicativi dell'art. 1676 c.c. consisti nella sussistenza, al momento della domanda (anche stragiudiziale) dei dipendenti dell'appaltatore, del credito che questi vanti nei confronti del committente a titolo di corrispettivo e fino a concorrenza del medesimo, con conseguente solidarietà di entrambe le parti del contratto di appalto.

Invero, l'art. 1676 c.c. espressamente prevede che «Coloro che, alle dipendenze dell'appaltatore, hanno dato la loro attività per eseguire l'opera o per prestare il servizio possono proporre azione diretta contro il committente per conseguire quanto è loro dovuto, fino alla concorrenza del debito che il committente ha verso l'appaltatore nel tempo in cui essi propongono la domanda».

Trattasi, quindi, di un'ipotesi di corresponsabilità tra il proprio datore di lavoro (l'appaltatore) ed un soggetto terzo (il committente) con il quale non sussiste alcun vincolo contrattuale; costituisce, secondo alcuna dottrina e l'orientamento prevalente della giurisprudenza di legittimità, di un'ipotesi rientrante nel fenomeno “sostitutorio”, pur non coincidendo con l'ordinaria azione surrogatoria di cui all'art. 2900 c.c., agendo i lavoratori in nome proprio, nel proprio interesse e nell'esercizio di un diritto proprio.

Infatti, è stato osservato che con l'azione diretta ai sensi dell'art. 1676 c.c. i lavoratori fanno valere un diritto proprio che la legge loro riconosce non in sostituzione del loro debitore ma direttamente, «non diversamente da quanto accade in tutte le ipotesi nelle quali la legge prevede che da parte di un determinato soggetto possa essere promossa un'azione diretta contro un altro soggetto anche in assenza di un originario rapporto (sussistendo un diverso collegamento, operante tramite un terzo soggetto)».

Diversamente, con l'azione surrogatoria vi è la sostituzione del creditore al proprio debitore per far valere un diritto appartenente al debitore al fine di far sì che lo stesso possa rientrare nel patrimonio del sostituito.

Deve, peraltro, chiarirsi che - come accaduto nel caso in esame e osservato da attenta dottrina - nell'ipotesi di subappalto, i dipendenti del subappaltatore possono agire solo nei confronti del subcommittente e non del committente, atteso che il subappalto si configura come un vero e proprio contratto di appalto che si caratterizza solo per essere un rapporto derivato da altro di analoga natura stipulato da uno dei medesimi contraenti con l'originario committente.

Quanto ai presupposti, occorre che concorrano, in via cumulativa:

  • l'esistenza di un credito di lavoro in capo al lavoratore dipendente, inadempiuto da parte dell'appaltatore-datore di lavoro (art. 2099 e s. c.c.);
  • il dipendente, che richiede la tutela e il pagamento della retribuzione, deve aver prestato la propria attività lavorativa nell'ambito dell'appalto, e cioè per il compimento di quella particolare opera o per la prestazione di quello specifico servizio commissionati da parte di quel determinato committente;
  • l'esistenza di un credito dell'appaltatore verso il committente, in relazione al compimento dell'opera o del servizio commissionatigli (art. 1657 c.c.), potendo l'azione essere fatta valere solo sino a concorrenza del debito del committente.

In presenza dei citati presupposti, la richiesta di pagamento dei crediti di lavoro fa sorgere il dovere del committente di pagare direttamente i lavoratori, rendendolo diretto debitore dei dipendenti dell'appaltatore solidalmente con quest'ultimo; per l'effetto, la semplice richiesta (anche stragiudiziale) del dipendente dell'appaltatore rende inesigibile il credito dell'appaltatore nei confronti del committente (in tal caso sì giustificando un'eccezione di inadempimento).

Alla luce di tale ricostruzione, la Corte di legittimità ha rammentato che, nei casi in cui manchino richieste rivolte dai dipendenti nei confronti del (sub)committente, la mera mancata dimostrazione della regolarità retributiva e contributiva dei dipendenti del subappaltatore non giustifica l'eccezione di inadempimento, tale da paralizzare l'ulteriore credito a questi comunque dovuto a titolo di corrispettivo dell'appalto.

Peraltro, è stato rimarcato che la persistenza del debito tra committente e appaltatore al momento della domanda dei dipendenti non è, invece, un requisito richiesto dal citato art. 29 D.Lgs. 276/2003, il quale, nel prevedere la solidarietà passiva di entrambi, limita solo temporalmente l'esercizio del diritto del lavoratore di agire direttamente anche nei confronti del committente, stabilendo, per converso, un termine decadenziale di due anni decorrente dalla cessazione dell'appalto, salva la prescrizione quinquennale per i contributi previdenziali (art. 3 c. 9 L. 335/1995).

Secondo la disciplina prevista per tale azione alternativa, il committente è obbligato in solido con l'appaltatore (ed ogni eventuale subappaltatore, entro due anni dalla cessazione dell'appalto) al pagamento dei trattamenti retributivi, incluse le quote di trattamento di fine rapporto, dei contributi previdenziali e dei premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto; tale obbligo vale non solo nei confronti dei lavoratori dell'appaltatore, ma anche nei confronti dei lavoratori degli eventuali subappaltatori, senza che tale obbligazione solidale risulti limitata dal valore dell'appalto, come invece avviene nell'azione diretta di cui all'art. 1676 c.c.

Con riguardo ai presupposti dell'azione in commento, occorre che concorrano congiuntamente:

  • l'esistenza di crediti per retribuzione, comprensiva delle quote di trattamento di fine rapporto, per contributi previdenziali o per premi assicurativi;
  • l'esecuzione della prestazione lavorativa e maturazione del relativo credito durante il compimento di quella particolare opera o servizio commissionati dal committente.

A differenza dell'azione prevista nell'appalto c.d. codicistico (soggetta, oltre che ai citati presupposti, al termine prescrizionale quinquennale per i crediti di lavoro) l'azione dei lavoratori e dipendenti deve essere esercitata entro il termine di due anni dalla data di cessazione dell'appalto; peraltro, in disparte il limite temporale, tale azione mira a disciplinare la responsabilità in tutte le ipotesi di dissociazione fra la titolarità del contratto di lavoro e l'utilizzazione della prestazione, assicurando in tal modo tutela omogenea a tutti quelli che svolgono attività lavorativa indiretta, qualunque sia il livello di decentramento

L'applicazione di tale orientamento interpretativo ha indotto la Suprema Corte, con l'ordinanza in commento, a cassare la sentenza impugnata affinché, nel vagliare l'eccezione di inadempimento sollevata dal Consorzio, la Corte di appello valuti, nel solco dei principi espressi, la sopravvenienza di fatti modificativi ed estintivi della pretesa creditoria come appunto la decadenza o la citata prescrizione.

Nell'accogliere i motivi di ricorso, la Suprema Corte ha rilevato l'errore del giudice di secondo grado nel considerare legittimo il rifiuto del Consorzio (sub)committente nel adempiere l'obbligo di pagamento del corrispettivo nei confronti della (sub)appaltatrice, adducendo l'inadempimento di quest'ultima per non aver dimostrato la regolarità contributiva e retributiva dei suoi dipendenti.

Tale decisione ha il pregio di evidenziare - dopo aver delineato la diversità di disciplina tra l'azione diretta prevista dall'art. 1676 c.c. e quella prevista dall'art. 29 D.Lgs. 276/2003 - che l'eccezione di inadempimento formulata dall'opponente fosse priva di basi giuridiche, dal momento che, escluso il controcredito già compensato e consistente nelle retribuzioni pagate dal committente in favore dei dipendenti dell'appaltatrice, il residuo credito (ovvero l'ulteriore corrispettivo dell'appalto, accertato in primo grado e dovuto all'appaltatrice) non poteva essere paralizzato semplicemente dall'assenza di prova circa la regolarità contributiva e retributiva dei suoi dipendenti, non rientrando la medesima nell'oggetto delle reciproche controprestazioni.

Osservazioni

Alla luce di quanto emerso dalla disciplina richiamata, la pronuncia in esame ha ribadito principi già affermati nel solco di un costante orientamento, ritenendo che, nell'ipotesi in cui il (sub)committente estingua il suo debito nei confronti del (sub)appaltatore, resti preclusa ai dipendenti di quest'ultimo la possibilità di poter agire con azione diretta ai sensi dell'art. 1676 c.c. per le loro pretese verso il (sub)committente, necessitando la persistenza un debito del (sub)committente nei confronti del (sub)appaltatore (consistente nell'obbligo di corrispondere il corrispettivo pattuito per l'appalto) al tempo in cui i lavoratori dipendenti avanzino la loro domanda.

Parimenti, pur in assenza dei presupposti previsti dall'art. 1676 c.c., la Corte ha evidenziato la mancanza di specifiche ulteriori domande proposte dai lavoratori della subappaltatrice consorziata anche ai sensi dell'art. 29 D.Lgs.276/2003, con ciò ritenendo ingiustificato il rifiuto, da parte del consorzio, di adempiere provvedendo al pagamento del corrispettivo residuo dell'appalto.

In altri termini, in difetto di ulteriori pretese dei lavoratori, pur permanendo l'obbligo di corrispondere l'ultima parte di corrispettivo, il Consorzio non avrebbe potuto limitarsi a paralizzare la richiesta limitandosi ad addurre la mancata prova della regolarità contributiva e retributiva dei suoi dipendenti; ciò in quanto, come già evidenziato, mentre la responsabilità del committente di cui all'art. 1676 c.c. è subordinata all'esistenza del debito nei confronti dell'appaltatore, ai fini dell'art. 29 questo presupposto non è richiesto, in quanto non rileva l'aver già saldato il corrispettivo dovuto all'appaltatore, rendendo il committente in ogni caso obbligato per un debito altrui, rischiando di dover pagare due volte in ragione dello stesso rapporto.

Deve evidenziarsi che nell'attuale contesto normativo l'art. 1676 c.c. svolge una funzione secondo alcuni residuale, intervenendo ogniqualvolta non esista una norma speciale in materia di responsabilità solidale tra committente e appaltatore, oppure laddove quest'ultima non sia più applicabile, ad esempio in ragione di un'intervenuta decadenza biennale, così costituendo, secondo attenta dottrina, la soglia minima di tutela del personale coinvolto in un appalto, al di sotto della quale non è possibile scendere, rafforzando la garanzia generica che tutti i lavoratori hanno sul patrimonio del debitore.

Nel corrispondere il trattamento retributivo all'ausiliario dell'appaltatore, pertanto, il committente avrà soddisfatto un debito altrui, ragion per cui al lavoratore - il cui credito venga totalmente soddisfatto - sarà preclusa la possibilità di avanzare ulteriori pretese nei confronti del datore appaltatore così questi non potrà più rivendicare il pagamento del corrispettivo per la parte destinata a soddisfare i crediti del lavoratore.

Nel delineare il quadro normativo appena richiamato, si condivide il ragionamento dell'ordinanza in commento, con la quale la Suprema Corte, nel cassare la decisione impugnata, ha sostenuto che la Corte di appello «avrebbe dovuto allora verificare se fosse decorso, tra la data di cessazione del contratto di appalto (nel quale sarebbero state svolte prestazioni lavorative da eventuali dipendenti del ricorrente) e quella della decisione in appello, senza che fossero state avanzate richieste da parte dei lavoratori o degli enti eventualmente creditori, di un lasso di tempo superiore al termine di decadenza di due anni o al termine prescrizionale».

Invero, stante l'illegittimità della eccezione di inadempimento, la Corte distrettuale dinanzi alla quale il giudizio è stato rinviato, dovrà verificare se tra la cessazione dell'appalto e la decisione adottata in appello fosse decorso il termine decadenziale di due anni previsto dall'art. 29 D.Lgs.276/2003, atteso che, trattandosi di decadenza, non troverebbero applicazione le regole dell'interruzione della prescrizione (art. 2964 c.c.) e, in particolare, l'art. 2945 c.c. che prevede l'ipotesi di interruzione-sospensione per tutto l'arco del giudizio; parimenti, dovrà verificarsi se fossero maturata la prescrizione quinquennale di cui all'art. 3 c. 9 L. 335/1995, notoriamente rilevabile d'ufficio.

Guida all'approfondimento

Codici commentati

  • Codice commentato del lavoro, I edizione, pag. 298.
  • Appalti Privati e outsourcing, 2015, pag 289.

Riferimenti giurisprudenziali:

  • Cass. 22 novembre 2021 n. 35962
  • Cass. 8 ottobre 2019 n. 25172
  • Cass. 14 novembre 2008 n. 27163
  • Cass. 19 aprile 2006 n. 9048
  • Cass. 10 marzo 2001 n. 3559
  • Cass. 11 novembre 1983 n. 6698

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