Leasing immobiliare e clausola di rischio cambio

23 Gennaio 2024

La Cassazione ritorna sulla questione, già affrontata dalle Sezioni Unite (Cass. SU 23 febbraio 2023 n. 5657), se sia meritevole di tutela, ai sensi dell'art. 1322 c.c., la c.d. clausola di rischio cambio inserita in un contratto di leasing immobiliare traslativo.

Massima

L’inserimento in un contratto di leasing di una clausola di indicizzazione (comprensiva del rischio di cambio) non è un patto immeritevole ex art. 1322 c.c., né costituisce uno “strumento finanziario derivato” implicito: la relativa pattuizione non è dunque soggetta alle previsioni del D.Lgs. 58/1998 (c.d. TUF).

Il caso

Una società stipula un contratto di leasing immobiliare traslativo.

Il contratto prevede la facoltà dell’utilizzatrice di richiedere la conversione della valuta di riferimento, a suo tempo stabilita nella lira italiana, con altra valuta, specificamente il franco svizzero. In definitiva, è pattuito che l’importo dei canoni di leasing possa variare sia in aumento, sia in diminuzione.

In particolare, ai fini di un esaustivo inquadramento della fattispecie sottoposta all’esame della Corte di cassazione, è opportuno specificare che:

  • nella prima eventualità (variazione positiva), il canone maturato, oltre IVA, sarebbe stato suddiviso per il cambio storico di riferimento e moltiplicato per la differenza tra il cambio storico e quello attuale della scadenza del canone. L’importo risultante sarebbe stato il rischio di cambio del mese a carico dell’utilizzatrice;
  • nella seconda eventualità, ossia in caso di variazione negativa, il canone imponibile maturato sarebbe stato suddiviso per il cambio storico di riferimento e moltiplicato per la differenza tra il cambio storico e quello attuale alla scadenza del canone. 

L’importo risultante, aumentato dell’IVA, avrebbe costituito il rischio di cambio del mese in favore della conduttrice

La società utilizzatrice conviene in giudizio la banca lamentando la validità della clausola di rischio cambio e chiedendo la restituzione delle somme versate in base ad essa.

Il giudice di primo grado accoglie la domanda, nella sostanza confermata dalla Corte d’appello.

Contro questa sentenza la banca propone ricorso per ottenerne la cassazione.

La questione

La controversia sorge in riferimento a un contratto di leasing immobiliare. Con questa operazione finanziaria, la società di leasing dà in godimento ad un utilizzatore degli immobili acquistati, costruiti o fatti costruire dal concedente stesso, di regola da adibire ad attività industriali, commerciali o terziarie. L'utilizzatore paga all'impresa di leasing un canone periodico, determinato in relazione al valore di acquisto dell'immobile, alla durata del contratto e ad altri elementi, per il godimento del bene del quale si assume i relativi rischi. Egli ha, inoltre, la facoltà di acquistare la proprietà in tutto o in parte dell'immobile al termine del contratto esercitando un'opzione di acquisto e pagando una somma prestabilita e determinata fin dall'inizio, in misura inferiore al valore d'acquisto o ai costi di costruzione (c.d. riscatto).

Tanto premesso, la questione dibattuta ruota intorno alla corretta qualificazione della clausola di rischio cambio. Tale clausola configura un contratto d’investimento finanziario speculativo, in relazione al quale trovano applicazione gli obblighi d’informazione e comunque la disciplina posta dal regolamento Consob, come ritenuto dal giudice di primo grado? Oppure il contratto in questione - connotato da una clausola sul rischio cambio avente una «formulazione particolarmente astrusa ed una macchinosa articolazione di calcolo» - è una sorta di swap, un contratto aleatorio, rientrante nel genus delle scommesse, come argomentato dalla Corte d’appello? I giudici del gravame, in definitiva, hanno ravvisato nella clausola di rischio cambio finalità aleatorie e speculative, incompatibili con il contratto di leasing, e dunque immeritevoli di tutela ex art. 1322 c. 2 c.c.

Le soluzioni giuridiche

Occorre preliminarmente evidenziare che la Corte d'appello ha rigettato il gravame non perché - come aveva invece ritenuto il Tribunale - le parti avessero stipulato un contratto di swap non preceduto da adeguata informazione, bensì perché ha ritenuto che il contratto stipulato dalle parti fosse immeritevole di tutela in base all’art. 1322 c.c. In altri termini, la sentenza impugnata è imperniata sulla immeritevolezza della clausola di rischio cambio.

Nonostante ciò, l’ordinanza in commento, all’evidente scopo di dissipare dubbi operativi, richiama il precedente delle Sezioni Unite (Cass. SU 23 febbraio 2023 n. 5657: un commento di tale pronuncia pubblicato il 12 maggio 2023 è consultabile qui) per escludere che configuri uno strumento finanziario derivato implicito – con la conseguente inapplicabilità delle disposizioni del D.Lgs. 58/1998 (c.d. TUF) - la clausola di un contratto di leasing che preveda, come nella fattispecie:

a) il mutamento della misura del canone in funzione sia delle variazioni di un indice finanziario, sia delle fluttuazioni del tasso di cambio tra la valuta domestica e una valuta straniera;

b) l'invariabilità nominale dell'importo mensile del canone con separata regolazione dei rapporti dare/avere tra le parti in base alle suddette fluttuazioni.

In definitiva, una clausola inserita in un contratto di leasing, la quale faccia dipendere gli interessi dovuti dall'utilizzatore dalla variazione di un indice finanziario insieme ad un indice monetario non è uno strumento finanziario derivato, e nemmeno un "derivato implicito”.

Riguardo all’affermata mancanza di meritevolezza della clausola in contestazione, l’ordinanza si limita a richiamare (ancora una volta) la decisione delle Sezioni Unite (Cass. SU 23 febbraio 2023 n. 5657) che, in riferimento a fattispecie del tutto similare, hanno enunciato il principio di diritto secondo cui il giudizio di meritevolezza previsto dall’art. 1322 c. 2 c.c. va compiuto avendo riguardo allo scopo perseguito dalle parti, e non alla sua convenienza, né alla sua chiarezza, né alla sua aleatorietà.

In particolare, proprio relativamente a un contratto di leasing traslativo con clausola di doppia indicizzazione del canone, le Sezioni Unite hanno stabilito che il giudizio di immeritevolezza era stato formulato in base a circostanze irrilevanti, quali la difficoltà di interpretazione della clausola, l’aleatorietà di essa e l'asimmetria delle prestazioni, «ossia giustappunto in base a quelle valorizzate con la sentenza impugnata».

Conclusioni

La decisione in commento conferma quanto già affermato dalle Sezioni Unite (Cass. SU 23 febbraio 2023 n. 5657). Precisamente, non costituisce un patto immeritevole ex art. 1322 c.c. né costituisce uno “strumento finanziario derivato” implicito (e, quindi, la relativa pattuizione non è soggetta alle previsioni del D.Lgs. 58/1998) la clausola inserita in un contratto di leasing, la quale preveda che:

  • la misura del canone varii in funzione sia delle variazioni di un indice finanziario, sia delle fluttuazioni del tasso di cambio tra la valuta domestica ed una valuta straniera;
  • l’importo mensile del canone resti nominalmente invariato, e i rapporti di dare/avere tra le parti dipendenti dalle suddette fluttuazioni siano regolati a parte.

Assume rilievo anche la circostanza che la causa del contratto di leasing immobiliare è il trasferimento della proprietà di un immobile, non il trasferimento di un rischio dietro pagamento di un prezzo, e che l’inserimento della clausola in questione, con la quale ci si limita ad agganciare il debito dell’utilizzatore ad un valore monetario, non snatura la causa del contratto di leasing.

Insomma, parafrasando il titolo di un famoso libro: “Niente di nuovo sul fronte giurisprudenziale”.

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