Rapporto tra traffico di influenze (art. 346-bis c.p.) e millantato credito (art. 346, comma 2, c.p.)

06 Febbraio 2024

In tema di rapporto tra il "vecchio" art. 346, comma 2, e il "nuovo" art. 346-bis c.p. è intervenuta la Sezione VI della Cassazione che ha affermato la discontinuità normativa tra le due fattispecie, in considerazione dei profili di struttura del reato di traffico di influenze illecite, della reale offensività delle condotte variamente realizzabili e della concreta lesione del bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice, in tal maniera ponendosi in contrasto rispetto ad altro orientamento.

Il caso e la questione controversa

  • Con doppia sentenza conforme l'imputato è stato riconosciuto colpevole del delitto di cui all'art. 346-bis c.p., con declaratoria di improcedibilità in ordine al reato di cui all'art. 640 c.p. per mancanza di tempestiva querela. Al ricorrente era contestato di essersi fatto consegnare da due indagati in altro procedimento somme di denaro destinate a un magistrato. L'imputato aveva asserito di chiamarsi in altro modo e di appartenere alla Polizia di Stato nonché di avere uno zio in rapporti stretti con il predetto giudice e, dunque, di potere acquisire informazioni sullo stato del procedimento e sull'orientamento della Procura in merito all'esito delle indagini. 
  • La Corte territoriale riconosceva la continuità normativa tra la fattispecie abrogata di cui all'art. 346, comma secondo, e quella vigente di cui all'art. 346-bis c.p., perché ai fini della configurazione di tale fattispecie è sufficiente vantare relazioni, pur insussistenti, con un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio.
  • Avverso detta sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore dell'imputato, rilevando che il fatto contestato non è riconducibile al reato di cui all'art. 346-bis, per la sussistenza del quale è necessario dimostrare l'effettivo sfruttamento di una relazione, non essendo sufficiente, di contro, la promessa di un interessamento, né la mera vanteria.
Il principio di diritto
Cass. pen., sez VI, 12 dicembre 2022, n. 11342

«Non sussiste continuità normativa tra il reato di millantato credito di cui all'art. 346, comma 2, c.p., abrogato dall'art. 1, comma 1, lett. s), legge 9 gennaio 2019, n. 3, e quello di traffico di influenze illecite di cui al novellato art. 346-bis c.p., in quanto, in quest'ultima fattispecie, non risulta ricompresa la condotta di chi, mediante raggiri o artifici, riceve o si fa dare o promettere danaro o altra utilità col pretesto di dovere comprare il pubblico ufficiale o impiegato o doverlo, comunque, remunerare, condotta che integra, invece, il delitto di cui all'art. 640, comma 1, c.p.».

Il contrasto

L'espressione "con il pretesto di..." fra discontinuità e continuità

  • La Suprema Corte ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, rilevando la mancanza di continuità normativa tra la formulazione vigente dell'art. 346-bis e l'ormai abrogato secondo comma dell'art. 346 c.p.
  • In particolare, quanto alla struttura del reato, è stato osservato che l'art. 346-bis c.p. incrimina condotte prodromiche a più gravi fatti corruttivi, secondo la consolidata tecnica della anticipazione della tutela dei beni della legalità e della imparzialità della pubblica amministrazione, e però in relazione a un tipo criminoso obiettivamente non omogeneo. Ed invero, si tratta di condotte variegate, là dove il rapporto tra mediatore e pubblico agente e la capacità di influenza del primo sul secondo possono essere inesistenti, esistenti – anche solo potenzialmente – e in tal caso assumere diverse modulazioni a seguito delle asserzioni del "venditore". Tuttavia, con riguardo al committente, è fondato ritenere che, almeno nei casi in cui lo scopo da questi perseguito si collochi all'esterno di qualsiasi concreta prospettiva di pericolo per il bene protetto – per essere la capacità di influenza del mediatore inesistente o impossibile – il disvalore che giustifica l'incriminazione finisce con il coincidere con il disvalore della mera intenzione del soggetto.
  • Di conseguenza, anche alla luce del principio di offensività, è solo l'esistenza di un rapporto tra pubblico agente e venditore che giustifica l'anticipazione della tutela realizzata attraverso l'art. 346-bis e spiega l'incriminazione del "compratore", là dove la condotta prevista dall'abrogato art. 346, secondo comma, non si presta a realizzare alcun vulnus alla pubblica funzione e agli interessi pubblici teleologicamente tutelati dall'art. 346-bis.
  • Né può assumere decisivo rilievo, al fine di escludere la riconducibilità al delitto di truffa delle condotte prima sussumibili nell'ambito del secondo comma dell'art. 346, il disvalore etico della mera intenzione che il compratore persegue. La giurisprudenza di legittimità ha ammesso la tutela del truffato in re illicita sul presupposto che, anche laddove il soggetto passivo abbia agito per causa immorale, delittuosa o altrimenti illecita, non vengono meno l'ingiustizia del profitto e l'altruità del danno, né l'esigenza di salvaguardia del patrimonio e della libertà del consenso nei negozi patrimoniali, che costituisce l'oggettività giuridica della truffa (Cass. pen., sez. I, n. 42890/2013, Paterlini, Rv. 257296; Cass. pen., sez. II, n. 10792/2001, Delfino, Rv. 218673).
  • Inoltre, la nuova struttura del reato che rende punibile anche la “vittima”, si riflette necessariamente sull'interpretazione dei singoli elementi della fattispecie in una chiave costituzionalmente orientata. Attesa la connotazione ingannatoria della parola "pretesto", deve escludersi che l'espressione "con il pretesto di ..." – che descrive un comportamento obiettivamente truffaldino – sia equipollente o, comunque, sovrapponibile al "vanto di relazioni asserite" di cui al novellato art. 346-bis c.p.
  • Sicché, restano escluse dal campo applicativo dell'art. 346-bis le ipotesi in cui il sedicente mediatore prospetta l'eventualità della corruzione soltanto per indurre il privato a consegnargli il denaro e ottenere un indebito vantaggio patrimoniale. Si tratta invero di vicende che non sono nemmeno astrattamente idonee a pregiudicare l'imparzialità e il buon andamento della P.A. e, dunque, inoffensive dell'interesse giuridico tutelato dall'art. 346-bis c.p.
  • All'orientamento fatto proprio dalla sentenza in commento se ne contrappone un altro che ritiene sussistente un rapporto di continuità normativa tra le due fattispecie incriminatrici.
  • Ed invero, In alcuni arresti è stato osservato che nella nuova fattispecie di traffico di influenze illecite si dà rilievo alla prospettazione della possibilità di intercessione presso un pubblico funzionario, a prescindere dall'esistenza o meno di una relazione con quest'ultimo, con equiparazione della «mera vanteria di una relazione o di credito con un pubblico funzionario soltanto asserita ed in effetti insussistente (dunque la relazione solo millantata) alla rappresentazione di una relazione realmente esistente con il pubblico ufficiale da piegare a vantaggio del privato». Da tale assunto è stata fatta derivare la sostanziale sovrapponibilità tanto della condotta strumentale (stante l'equipollenza semantica fra le espressioni "sfruttando o vantando relazioni ... asserite" e quella "millantando credito"), quanto della condotta principale di ricezione o di promessa, per sé o per altri, di denaro o altra utilità (Cass. pen., sez. VI, n. 17980/2019, Nigro, Rv. 275730). È stato osservato, altresì, che la mancata riproposizione del termine “pretesto” non può essere considerata elemento impeditivo della conclusione che vi sia continuità normativa ed è anzi «ancor più funzionale all'inclusione nell'illecito delle evocate dazioni in favore dei pubblici ufficiali o pubblici impiegati, prescindendosi dall'aderenza al reale di tali relazioni per la equiparazione – introdotta con la novella del 2019 – dello sfruttamento delle relazioni esistenti al vanto di quelle asserite»  (Cass. pen., sez. VI, n. 1869/2020, dep. 2021, Gangi, Rv. 280348).
  • Ricostruito nei termini illustrati il rapporto tra l'abrogato reato di millantato credito di cui all'art. 346, comma 2, c.p. e la fattispecie di traffico di influenze illecite, come novellata dalla legge n. 3/2019, si è ribadito che l'abrogazione dell'art. 346 non ha significato l'abolizione delle ivi descritte figure criminose e non ha comportato la sopravvenuta irrilevanza delle condotte prima sussumibili in entrambe le diverse e autonome figure (Cass. pen., sez. VI, n. 32574/2022, Lucchese, Rv. 283724; Cass. pen., sez. VI, n. 20935/2022, Cobalchini, Rv. 283270).
  • La Seconda sezione penale ha rilevato la perdurante esistenza del contrasto, segnalando una successiva pronuncia della Sesta sezione che, pur dandone atto, aveva ritenuto che il caso concreto non ponesse l'esigenza di risolverlo «con la rimessione del tema alle Sezioni Unite» in quanto la relativa questione era estranea al giudizio (Cass. pen., sez. VI, n. 26739/2023, Sponsillo, non mass.). 
  • Con ordinanza n. 31478 del 28 giugno 2023 riteneva pertanto di rimettere alle Sezioni Unite la questione controversa «se sussista continuità normativa tra il reato di millantato credito di cui all'art. 346, comma 2, c.p., abrogato dall'art. 1, comma 1, lett. s), legge 9 gennaio 2019, n. 3, e quello di traffico di influenze illecite di cui al novellato art. 346-bis c.p.».
  • La decisione delle Sezioni Unite è calendarizzata per il prossimo 29 febbraio 2024.
  • Va altresì segnalato che il disegno di legge n. S 808 (cd. “disegno di legge Nordio”) riscrive il delitto di traffico delle influenze illecite di cui all'art. 346-bis c.p., prevedendo che le relazioni del mediatore con il pubblico ufficiale debbano essere effettivamente sfruttate e non solo vantate, e debbano essere esistenti e non solo asserite; l'utilità data o promessa deve essere di natura economica e il denaro o altra utilità devono essere dati o promessi per remunerare il pubblico ufficiale o per far realizzare al mediatore una mediazione illecita. Sul piano dell'elemento psicologico, le relazioni devono essere sfruttate “intenzionalmente”.
La dottrina

La dottrina è orientata nel senso di ritenere  che la vendita di una influenza che non esiste e che mai potrà essere esercitata, e che determina nel privato "compratore di fumo" una situazione di errore che lo induce a compiere un atto di disposizione che altrimenti non avrebbe compiuto, palesa una maggiore assonanza contenutistica con il paradigma della truffa, diversamente dal mercanteggiamento di un'influenza reale, proiettata verso un fatto concretamente lesivo dei beni dell'imparzialità e del buon andamento dell'attività amministrativa, legislativa o giudiziaria. Anche il riferimento alle «relazioni asserite», se può sembrare giustificare la tesi della continuità normativa, in realtà non consente di far rientrare nel sintagma le condotte ingannevoli. Infatti, le relazioni asserite non attengono al «pretesto di dover comprare», ma alla possibilità che l'influenza sul pubblico agente diventi reale; la vanteria asserita non è finalizzata a ingannare il cliente sulla inesistenza della relazione, ma attiene alla prospettazione al "compratore" di una relazione in futuro realizzabile, alla capacità prospettica del mediatore di dare concretezza ai suoi assunti (1). 

(1) Mogillo, Il traffico di influenze illecite nell'ordinamento italiano: crisi e vitalità di una fattispecie a tipicità impalpabile, in Sistema penale, 2 novembre 2022; M. Gambardella, L'abrogazione dell'abuso d'ufficio e la riformulazione del traffico d'influenze nel disegno di legge Nordio, in Sistema penale, 26 settembre 2023.

 Vai qui per seguire la questione rimessa alle Sezioni Unite

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