Decreto di scioglimento del Consiglio comunale per condizionamenti mafiosi: requisiti minimi della motivazione per il rigetto del ricorso
06 Dicembre 2023
Con decreto del Presidente della Repubblica, previa delibera del Consiglio dei ministri, veniva disposto lo scioglimento di un Consiglio comunale, ai sensi dell'art. 143 d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 vista la relazione del Ministero dell'Interno in ordine all'esistenza di un condizionamento della criminalità organizzata e consequenziale compromissione dell'attività comunale. Il Sindaco e alcuni consiglieri comunali proponevano ricorso avanti al TAR Lazio avverso il decreto presidenziale, per assenza di presupposti e difetto di motivazione, che il Tribunale respingeva. Inoltre, con i motivi aggiunti ricorrevano avverso il diniego all'istanza di accesso agli atti dell'istruttoria svolta, che il Tribunale dichiarava improcedibile, perché l'Amministrazione aveva già depositato in giudizio la documentazione richiesta. Gli appellanti impugnavano anche tale decisione lamentando che l'Amministrazione aveva versato in giudizio, in riscontro all'ordine istruttorio del Tribunale, solo la relazione della Prefettura e del Ministero dell'Interno e non anche la documentazione istruttoria, visto anche che il floppy disk che doveva contenere gli atti istruttori era vuoto. Sulla contestazione del difetto istruttorio, il Collegio non ha escluso che abbia inficiato l'adeguatezza delle contestazioni degli appellanti, formulate solo sulla base delle motivazioni nelle relazioni prefettizie, senza poter visionar gli atti istruttori. Al riguardo, il Collegio, ha sottolineato che lo scioglimento di un organo politico-rappresentativo ha un rilievo di ordine costituzionale, per cui in sede giurisdizionale sono necessarie tutte le garanzie istruttorie per la tutela del più ampio svolgimento delle prerogative processuali. Il citato decreto presidenziale è uno “strumento di tutela avanzata” contro la criminalità organizzata, per cui il giudice amministrativo necessita di un adeguato supporto istruttorio per svolgere la valutazione degli indici sintomatici del condizionamento criminale, che in concreto devono essere univoci, ossia chiaramente finalizzati agli scopi criminali che lo strumento dello scioglimento è volto a prevenire, e rilevanti, vale a dire idonei a compromettere il regolare svolgimento delle funzioni comunali. Perciò, ad avviso del Collegio, il provvedimento di scioglimento del consiglio comunale deve essere esaminato alla luce di una valutazione di indici concordanti e concreti, con una ponderazione comparativa dei vari valori costituzionali che vengono in considerazione. Quanto alla motivazione della sentenza di rigetto del TAR, il Collegio rileva la carenza di argomentazioni per l'assenza di riferimenti diretti ai rilievi istruttori connessi alla compresenza degli indici sintomatici previsti per lo scioglimento, per dare contezza puntuale della loro univocità e rilevanza. Ed infatti, prosegue il Collegio, dopo la compiuta istruttoria, le circostanze fattuali avrebbero dovuto essere esaminate considerando anche le allegazioni dei ricorrenti, non solo con l'elencazione degli elementi indizianti sulla contiguità tra gli organi comunali e la criminalità organizzata, senza un giudizio sulla loro univocità e rilevanza, che, invece, avrebbero dovuto essere collegati all'incidenza sui presupposti di legge per l'adozione del provvedimento. Dunque, ad avviso del Collegio, la sentenza di rigetto del TAR riporta una motivazione troppo generica, e dunque meramente apparente, in quanto non emerge alcuna argomentazione dei vari elementi indiziari sui quali si è basato il censurato decreto di scioglimento. L'estrema genericità delle motivazioni non consente di comprendere il percorso logico-giuridico su cui il TAR ha fondato le proprie conclusioni, che non risultano, invece, declinate nel caso concreto esaminato. Sul punto, il Collegio, alla stregua dell'orientamento della giurisprudenza amministrativa nelle sentenze dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nn. 10 e 11 del 30 luglio 2018, osserva che, sulle censure formulate nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, la motivazione della sentenza non è intervenuta, non vi ha fatto riferimento né ha preso posizione, dando luogo ad uno dei casi tassativi di annullamento con remissione al primo giudice. Il Consiglio di Stato, riuniti appelli, li ha accolti e, per l'effetto, ha disposto l'annullamento della sentenza appellata con rinvio al primo giudice, ai sensi dell'art. 105 c.p.a. |